lunedì 28 dicembre 2015

PRESEPE OFFESO

Non è la prima volta. In fondo non ha niente da temere. 

Offende, insulta, irride. In nome della libertà di stampa e di espressione, crede che tutto gli sia permesso. 

Poi, male che vada, a difenderlo ci penseranno gli amici di sempre. Stiamo parlando di Vauro Senesi. 

Il disegnatore ha pubblicato, alla vigilia di Natale, su “il Fatto quotidiano”, una vignetta con uno strano presepe.

La Sacra Famiglia, infatti, è composta da due uomini e il Bambino. Manca la figura femminile, Maria. Non occorre essere indovini per capire dove vuole andare a parare. La didascalia, infatti, recita: «Grecia. Legalizzate le unioni civili tra persone dello stesso sesso».

Si è liberi di credere o di non credere. Non si è però liberi di offendere coloro che su quel Bambino si stanno giocando la vita. Non è un bene irridere la fede degli altri. Gli uomini – quelli veri – hanno imparato che nessuno ha il diritto di offendere nessuno. 
I cristiani – quelli veri – si sforzano di non farlo nemmeno in risposta alle offese ricevute. Non conviene però approfittare di questa situazione.

Ma Vauro sa bene che a offendere i cattolici, a differenza di qualche altro, non si rischia niente. 
Sa, che i cristiani quando vedono derisi i fondamenti della loro fede, si rattristano e soffrono, ma non si vendicano. 
Sa che prendere di mira la Chiesa cattolica e i suoi rappresentanti tira sempre. Se poi ci sarà maretta, tanto meglio. Un bel polverone mediatico per ritornare a galla, dopo anni di ripetitività e declino, fa sempre comodo. In questo modo, però, non si va da nessuna parte. Semplicemente non serve a nulla di buono. Anzi, fa decisamente male.

Leggo su facebook commenti di persone rimaste amareggiate, arrabbiate, addolorate dalla vignetta. Le domande sono secche. 

Che diritto ha il signor Vauro Senesi di offendere – proprio nel giorno in cui i cattolici celebrano il Natale – la loro fede? 

Che diritto ha il quotidiano che lo ospita, di strumentalizzare la festa della Nascita di Gesù per propagandare il proprio favore per pratiche usate per dare “figli” a coppie dello stesso sesso, cancellando per principio o la madre o il padre di quegli stessi bambini? 

La risposta a entrambe le domande è la stessa: nessuno diritto, e un dovere di civiltà violato. 

Maurizio Patriciello (Avvenire)

P.S.: la vignetta non fa nemmeno ridere, è scontata, banale, dozzinale. Tutto il genio umoristico che viene attribuito a Vauro si esprime in così poco?

Federico Gorbi

venerdì 25 dicembre 2015

BUON NATALE DI PACE A CHI SOFFRE NEL MONDO

venerdì 11 dicembre 2015

MONTALBANO INQUINATO

Il Montalbano è un patrimonio ambientale importantissimo che va salvaguardato.
Anche il Comune di Serravalle deve fare la propria parte e, proprio per questo, ho presentato un interrogazione per capire meglio e per intervenire su una situazione di smaltimento abusivo di rifiuti proprio nel nostro territorio.





Al Sindaco del Comune di Serravalle Pistoiese

All'Assessore all'Ambiente del Comune di Serravalle Pistoiese



OGGETTO: INTERROGAZIONE A RISPOSTA ORALE



Ho appreso dagli organi di informazione (Linee Future) la notizia della presentazione di un esposto alla Procura della Repubblica di Pistoia per reati contro l'ambiente.

L'area che risulterebbe inquinata è quella relativa alle ex Cave Bruni dove alcuni cittadini dichiarano che nel tempo sarebbero stati smaltiti abusivamente diversi rifiuti anche di natura industriale.

Sul posto si possono osservare, a detta degli stessi abitanti del luogo, diversi pneumatici, batterie al piombo, materiale ferroso di diversa origine ed altro materiale difficilmente identificabile.

Tenendo conto del fatto che l'area sarà interessata ad un piano di recupero ambientale, secondo quanto approvato dal Consiglio comunale,

                                                        CHIEDO

·se l'Amministrazione comunale ha mai provveduto ad effettuare un riscontro di quanto è stato segnalato;
·se si intendano effettuare test di verifica per controllare il livello di inquinamento del terreno e delle acque del Fosso Spina;
·se è stato mai accertato il fatto che i rifiuti vengano tutt'ora abbandonati in zona senza le necessarie autorizzazioni;
·come si intende agire, qualora le circostanze fossero confermate, per la bonifica ambientale della zona.



                                                                  Federico Gorbi
                                          Capogruppo Serravalle Popolari e Riformisti

giovedì 3 dicembre 2015

ANCORA SU FALCE E MARTELLO: COSA INSEGNA LA NOSTRA SCUOLA?

Torno sul tema del disegno raffigurante la bandiera comunista all'interno della Scuola Media "Enrico Fermi" di Casalguidi.

La Dirigente Scolastica ha giustamente spiegato i motivi didattici che hanno portato gli alunni a realizzare alcuni disegni, interpretando gli articoli della Costituzione Italiana.

Secondo la professoressa Lucia Maffei "i ragazzi hanno semplicemente rappresentato il lavoro, enunciato dall'Articolo 1 della Costituzione, mediante la falce e il martello, poiché così credevano che fosse rappresentativo nell'immediato dopoguerra".

La spiegazione è ineccepibile.
Mi sorge però un dubbio.
Cosa viene insegnato ai nostri ragazzi a scuola?

Per capirci voglio ripercorrere in breve come si è arrivati alla stesura dell'Articolo 1 della Costituzione Italiana.
A conferma di quanto sostengo chiunque può verificare direttamente la fonte.  Gli atti della Costituente sono infatti pubblicati integralmente sul sito: La nascita della Costituzione
 
Il 16 ottobre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, nel proseguire la discussione sui principi dei rapporti sociali ed economici, affronta la questione del lavoro. 
La Pira (Dc) propone questo articolo: «Il lavoro è il fondamento di tutta la struttura sociale, e la sua partecipazione, adeguata negli organismi economici, sociali e politici, è condizione del nuovo carattere democratico».
Alla successiva riunione della Sottocommissione, il 18 ottobre, Togliatti (Pci) si dice convinto che si debba porre al principio della Costituzione la seguente definizione: «Lo Stato italiano è una Repubblica di lavoratori». 

La formulazione di La Pira gli pare insufficiente perché, sostiene Togliattigli sembra di trovarsi di fronte non ad una affermazione politica di volontà del legislatore, ma quasi ad una constatazione di fatto”.

Dossetti (Dc), che aveva concorso alla formulazione della proposta La Pira, precisa che con l’espressione: «Il lavoro è il fondamento di tutta la struttura sociale», si intende esprimere non semplicemente una constatazione di fatto, ma un dato costitutivo dell’ordinamento, un’affermazione cioè di principi costruttivi.

Il liberale Lucifero D’Aprigliano obietta (da liberale): "Tutti coloro che partecipano alla produzione sono «lavoratori» (meno l’azionista puro, gli inabili e i malati), dal presidente del consiglio di amministrazione fino all’ultimo usciere della società". 
Per D'Aprigliano, stabilito il principio che tutti sono lavoratori, in quanto uomini, il lavoro, inteso come manuale, non deve considerarsi preminente sugli altri fattori della produzione.

Va quindi in votazione, e viene approvato, l’articolo proposto da Togliatti con gli emendamenti suggeriti da lui e da La Pira: «Il lavoro e la sua partecipazione concreta negli organismi economici sociali e politici è il fondamento della democrazia italiana».

Il 28 ottobre la Sottocommissione torna a discutere l’art. 1, e Togliatti ripropone la formulazione “Repubblica di lavoratori”. 

Moro (Dc) propone con successo una mediazione che verrà approvata a fine seduta: «Lo Stato italiano è una Repubblica democratica. Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese».

Il 22 gennaio 1947 si riunisce in seduta plenaria la Commissione per la Costituzione. 
Togliatti ripropone senza successo la sua formulazione. 

Il 24 gennaio la Commissione approva il testo definitivo: «L’Italia è una Repubblica democratica. La Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Il 4 marzo l’Assemblea Costituente inizia la discussione generale del progetto di Costituzione; il 22 marzo, quando arriva in discussione l’art. 1, Fanfani e Moro (Dc) presentano con altri l’emendamento poi approvato: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».

In conclusione possiamo tranquillamente dire che l'art. 1 della nostra Costituzione è frutto di una proposta democristiana e non comunista. Ebbe il voto favorevole da parte della Democrazia Cristiana, del Partito Comunista e del Partito Socialista.

La formulazione proposta da Togliatti e dal Pci («Lo Stato italiano è una Repubblica di lavoratori»), invece intendeva evocare l'unità di classe, la volontà di congiungere classe operaia e contadini e, soprattutto, la vicinanza alle formule usate in Unione Sovietica e negli  Stati del blocco dell'Est.

Non pretendo che in una scuola media si affronti l'argomento in modo così approfondito ma, visto che si intende sottolineare la qualità della nostra Costituzione, un docente preparato ed accorto avrebbe almeno riportato gli alunni ad una raffigurazione artistica più in linea con il tema (si potevano disegnare dei lavoratori? si potevano disegnare alcuni strumenti di lavoro, e non solo falce e martello?).

Invece così le giovani menti degli alunni di Casalguidi sono state indotte a credere ad un falso storico che, siamo sicuri, nelle scuole che andranno a frequentare nei prossimi anni potrà essere corretto da professori prudenti e competenti.

Il livello di preparazione e di capacità tra i politici del 1946 era molto, molto alto. Tra i “padri costituenti” c’erano, tra gli altri, Amintore Fanfani, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini, Aldo Moro, Ugo La Malfa, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Emilio Lussu, Fausto Nitti, Piero Calamandrei, Lelio Basso, Giuseppe Saragat, Pietro Nenni, Luigi Einaudi, Giorgio Amendola, Sandro Pertini, Leo Valiani, Vittorio Emanuele Orlando, Giovanni Gronchi.
 
Erano comunisti, liberali, democristiani, socialisti, repubblicani ma, tutti insieme, seppero scrivere la carta fondamentale della nostra Repubblica.
Abbinare la Costituzione, o parte di essa, a uno solo dei simboli che rappresentavano è una mancanza di rispetto verso questi uomini.
 

lunedì 30 novembre 2015

BANDIERA COMUNISTA A SCUOLA

Il disegno che riporta lo storico simbolo comunista con falce e martello che è stato esposto all'interno della Scuola Media di Casalguidi (http://www.lineefuture.it/) non ci scandalizza particolarmente.

Certo, posso capire che alcuni siano sorpresi dal fatto che questo avvenga proprio nella scuola nella quale la Dirigente scolastica ha impedito al Parroco di benedire le aule. Qualcuno potrebbe infatti pensare che entrambe le scelte siano dettate da furore ideologico di stampo vetero-sovietico.
In questo caso però siamo convinti che il disegno in questione faccia parte di un più ampio programma didattico che ha permesso agli studenti di apprendere le malefatte nate dall'ideologia comunista, i milioni di morti, le carestie, i gulag, i famosi campi di concentramento di ispirazione nazista rivisti e corretti in salsa sovietica.
Siamo certi che le insegnanti avranno sottolineato l'aberrazione di un'idea che voleva gli uomini liberi e che invece ha creato nuove schiavitù.
Siamo sicuri che lo studio del comunismo abbia fatto parte di una più completa analisi delle dittature che hanno messo l'uomo a servizio dello stato e non viceversa.
Non dubito quindi che la Dirigente scolastica e le insegnanti sapranno spiegare bene quanto avvenuto e, come nel caso della mancata benedizione, scenderanno in campo sindacati, associazioni e quanto altro per chiarire bene, molto bene, tutto quello tanti non capiscono.




mercoledì 18 novembre 2015

NON AVRETE MAI IL MIO ODIO

Antoine Leiris a 34 anni è rimasto solo a crescere suo figlio perché venerdì sera qualcuno, in nome di chissà cosa, gli ha ammazzato, nel teatro Bataclan di Parigi, Hélène «l'amore della sua vita».
Questo è il testo della lettera che ha scritto ai terroristi.


Venerdì sera avete rubato la vita di un essere eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, ma non avrete il mio odio.

Non so chi siete e non voglio neanche saperlo, quello che so è che siete anime morte. Se questo Dio per il quale voi uccidete ciecamente ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. 
Quindi non vi farò il regalo di odiarvi. Voi l’avete cercato, tuttavia rispondere all’odio con la rabbia sarebbe come cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io abbia paura, che debba guardare i miei concittadini in maniera differente, che io sacrifichi la mia libertà per la sicurezza. E’ una battaglia persa. 

L’ho vista stamattina. Finalmente, dopo notti e giorni d’attesa. Era così bella, bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando m’innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Naturalmente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma durerà poco. 

So che lei ci accompagnerà ogni giorno e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere al quale voi non accederete mai. Siamo due, io e mio figlio, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. 
Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. 
Ha appena 17 mesi e farà merenda come tutti i giorni e poi giocheremo insieme come tutti i giorni e per tutta la sua vita questo piccolo vi farà l’affronto di essere libero e felice. 

Perché no, non avrete neanche il suo odio"

lunedì 16 novembre 2015

ECCO CHI FINANZIA L'ISIS

Ripropongo un articolo, vecchio di qualche mese ma sempre attuale, sulle responsabilità che stanno alla base della nascita del fenomeno Isis. 
Franco Cardini,  Direttore del Centro di Studi sulle Arti e le Culture dell’Oriente dell’Università Internazionale dell’Arte di Firenze e storico di fama mondiale, cerca di dare alcune risposte che, rilette all'indomani della strage di Parigi, devono far riflettere sulle colpe che risiedono anche in occidente oltre che nell'uso strumentale della religione.

"Usare il nome di Dio per giustificare l'odio è una bestemmia" ha giustamente detto Papa Francesco.
Anche usare gli uomini per meri interessi economici è una bestemmia e il prezzo si paga prima o dopo. 

In questo momento così delicato per gli equilibri del Mediterraneo abbiamo intervistato una delle voci più auterevoli. Franco Cardini è il Direttore del Centro di Studi sulle Arti e le Culture dell’Oriente dell’Università Internazionale dell’Arte di Firenze e storico di fama mondiale. 

Dalla strage di Charlie Hebdo all'attentato di Sousse è evidente che l'Europa ha la guerra dell’Is in casa. Quali sono le responsabilità dell’Occidente in tutto ciò?
Sia i governi europei che quello americano hanno delle responsabilità non solo recenti, ma che iniziano nel periodo post-coloniale del Medio Oriente. Il peccato originale fu quello di voler fare delle vecchie colonie dei nuovi protettorati economico-finanziari. Gli inglesi soprattutto tentarono di mantenere de facto il controllo di quelle zone, negando l’anima islamica di quel mondo e a seguito di ciò nacquero i primi movimenti islamisti, come i Fratelli musulmani in Egitto. Da allora fino ai nostri giorni le forze occidentali hanno trattato strumentalmente il mondo islamico, facendo i propri interessi. Ancora oggi si pensa che il fondamentalismo sia strumentalizzabile. Gli Stati Uniti, per esempio, favorirono lo stabilirsi degli jihadisti provenienti dallo Yemen e dall’Arabia Saudita in Afghanistan durante la guerra contro l’Unione sovietica, per trasformarla in una guerra santa anti-russa. Essa fu vinta, ma gli jihadisti rimasero e formarono il movimento dei talebani che fino a metà degli anni Novanta fu appoggiato da Washington. Poi i talebani si svincolarono avvicinandosi alla Cina, cosa che ha portato all’11 settembre e a tutte le conseguenze che oggi abbiamo sotto gli occhi.

Cos’è mancato invece all’Europa nella comprensione del mondo arabo e dei paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo?
L’Europa non ha capito cosa realmente stia succedendo. In molti pensano che l’unico nemico del Califfato
sia l’Occidente. 
Ciò è errato e i fatti di questi giorni lo mostrano chiaramente. La maggior parte delle vittime sono infatti di religione musulmana. Gli attentati in Kuwait e Somalia mostrano una forte lotta che è in corso tra sciiti e sunniti, oltre che tra jihadisti e moderati. C’è in atto una guerra civile all’interno del mondo islamico che spinge migliaia di persone in bocca ai fondamentalisti, molti dei quali offrono un programma sociale ed economico fondato sul prestito senza interessi delle banche islamiche che attrae tantissimi giovani. Quello che l’Europa non ha capito è che non c’è solo fanatismo violento, ma anche proposte di alternativa al mondo occidentale.

Esistono invece proposte di alternativa al mondo occidentale anche tra i cosiddetti islamici moderati?
Esistono, per esempio nel socialismo arabo che si ispira a Nasser che oggi è ripreso dal presidente della Siria Assad e che era stato fatto proprio da Saddam Hussein e Gheddafi. Certo Saddam e Gheddafi  erano  dittatori sanguinari, ma mettevano in prima istanza l’appartenenza nazionale e non la religione e mantenevano uno stato sociale fatto di scuole, università, assistenza e comunicazione che strappava i giovani dall’estremismo ed erano per questo un argine contro il Califfo. Di fatto erano in grado dimantenere la pace. Oggi Assad, che è l’unico ancora in vita, è inviso dall’Occidente perché amico dell’Iran e nemico della Turchia che è membro della Nato. E’ qui il grande problema: paesi come Turchia e Arabia Saudita sono alleati dell’Occidente che però combattono Assad e di conseguenza favoriscono l’Is.

Chi sono dunque i veri alleati dell’Is? E da dove prende i soldi?
Esistono delle complicità finanziarie e economiche tra il Califfato e alcuni stati alleati dell’Occidente, tra cui Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Quello che l’Is sta facendo al livello geografico è di ridisegnare il territorio di Iraq e Siria a favore dei paesi citati e a discapito di Assad. Il Califfo però è sempre più forte, tanto da poter porre le condizioni ai propri alleati. Vuole essere l’unico rappresentante dell’Islam radicale e sta tentando di egemonizzare il mondo islamico sotto la sua guida. Nel Medio Oriente sta incontrando difficoltà grazie alle resistenze di Assad e dei curdi, ma sta ottenendo grandi consensi in Africa, dove gli stati sociali sono meno sviluppati se non inesistenti, come in Somalia. Non è un caso che sia in quelle regioni che abbiano origine i flussi migratori che sbarcano sulle nostre coste.

Immigrazione e diffusione del Califfato sono dunque collegate. Quali sono le contromosse con cui bisognerebbe rispondere?
La guerra si vince con l’intelligence e non con i bombardamenti a tappeto. E’ una guerra prima di tutto ideologica da vincere con il soft power e non con le dimostrazioni di forza. Chiudere 80 moschee in Tunisia, come è avvenuto, fa il gioco del Califfo, al quale si regalano simpatie. Fare lo stesso in Italia, come ha suggerito una certa stampa di destra, vorrebbe dire aumentare il rischio. Il Califfo sta alzando il tiro perché vuole che i governi occidentali rispondano con misure dure e indiscriminate come queste che gli porteranno consensi. Più la tensione si alza, più porterà avanti politiche di crudeltà per indurre a reazioni sbagliate. Dicono bene Obama e Papa Francesco quando invitano al dialogo con l’Islam moderato.

Alcuni politici invitano a una nuova crociata contro l’Islam. 
Le conseguenze di ciò le abbiamo già sperimentate con la dottrina Bush, che prevedeva l’identificazione di un grande nemico per giustificare il proprio espansionismo geopolitico. Quando ha identificato il nemico nell’Islam ha invocato a una nuova guerra santa, esattamente come fa oggi il l’Is. Parlare di guerre sante e di soluzioni indiscriminate è sbagliato dall’una come dall’altra parte. Bush attaccando il mondo islamico ha fatto il gioco del Califfo, che tagliando gole fa il gioco della dottrina Bush. Leggo con preoccupazione che essa sta tornando ad essere maggioritaria all’interno del Congresso americano. L’Is va combattuta militarmente, ma agli islamici moderati va aperto il dialogo, altrimenti ci troveremo sempre più jihadisti in Europa.

In Europa la politica di destra ritiene sia possibile che gli jihadisti si mimetizzino ai migranti sui barconi. E’ possibile?
E’  possibile, ma non dobbiamo dimenticare che le cellule jihadiste in Europa ce le abbiamo già. Purtroppo la destra europea pensa a creare consenso e non a risolvere la situazione. Una soluzione che dovrebbero proporre se volessero tentare di risolvere gli eccessi dei flussi migratori è di individuare i veri motivi per cui queste genti scappano e attaccare i veri responsabili. Uno di questi è certamente il Califfo, ma che riesce a radicarsi in un’Africa resa allo stremo dagli interessi di multinazionali che ne hanno sfruttato le risorse e costretto le popolazioni alla fame. 

sabato 14 novembre 2015

CHI UCCIDE E' MIO NEMICO


Parigi è una città che amo alla follia. 
Ci sono stato tante volte, conosco persone che ci vivono, conosco tanti piccoli angoli a me carissimi. 

Ma più di Parigi amo la vita, un dono unico e prezioso che Dio ci dona e che non può essere tolto in nome di nessun dio, di nessuna idea, di nessun interesse. 
Chi uccide è mio nemico. 
È mio nemico chi viola i sacri principi della civiltà umana, non occidentale, ma umana. 
È mio nemico chi minaccia la libertà e la vita dei miei fratelli.

martedì 10 novembre 2015

BERLUSCONI E SALVINI NELLA "COSA NERA". PER PERDERE LE ELEZIONI

Dal raduno della Lega di Bologna proviamo a trarre qualche conclusione politica (al di là dei deprecabili scontri di piazza innescati dai centri sociali e da altri gruppi che volevano impedire a Salvini di manifestare liberamente nella città felsinea).
Domenica in Piazza Maggiore è stato rinsaldato l'asse di Centrodestra, il cui leader non è più Silvio Berlusconi bensì Matteo Salvini. L'ex Cavaliere dunque ha un inedito ruolo di spalla, per la prima volta nella sua lunga storia politica. Evidentemente, dopo il tira e molla sull'opportunità di partecipare alla manifestazione del Carroccio (ma si può ancora adoperare questa metafora dopo la svolta lepenista?), Berlusconi - di scuro vestito, come un "Cavaliere nero" -  ha ritenuito che fosse meglio partecipare, andando un po' all'azzardo. Il suo modello resta quello della giunta regionale ligure, ma almeno per ora deve far buon viso a cattivo gioco e accettare la leadership del segretario leghista.
L'asse della nuova alleanza è diversa da quella dei precedenti governi Berlusconi, che era più spostato verso il centro (nonostante la Lega già allora dettasse l'agenda politica, soprattutto in tema di
immigrazione e respingimenti). In questo caso Berlusconi ha accettato di allearsi con forze più a destra di Fini, come Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni e addirittura con i circoli post-fascisti di casa Pound. Non a caso il principale avversario "interno" è divenuto Alfano. 

Il ministro degli Interni e il segretario della Lega si sono scambiati insulti e offese senza esclusione di colpi. Salvini ha definito Alfano "un cretino" e il ministro lo ha definito un "quaquaraqua" ricorrendo alla classificazione antropologica dello scrittore Sciascia del Giorno della civetta

Dietro questo scambio di affettuosità ci sono ben precise logiche politiche. La nuova "Cosa nera" di Salvini-Berlusconi-Meloni aspira a distinguersi dalla linea del Nuovo Centrodestra, che raccoglie i moderati della diaspora berlusconiana e sui temi dell'immigrazione ha idee diametralmente opposte.
"Vinceremo con il 40 per cento", annuncia Berlusconi. 
In realtà il rischio è che molti moderati rimasti finora fedeli al Cavaliere prendano la via del centro. 
Messo in soffita il vecchio apparato secessionista o federalista, per la Lega non dovrebbero esserci più problemi nello sposare la linea nazionale o addirittura nazionalista dei "cari vecchi alleati". 
Per Renzi invece dovrebbe essere una pacchia: la nuova "Cosa nera" gli permetterà di attirare nuovi voti al centro. Il suo problema, semmai, è spiegare cos'è rimasto di sinistra nel suo partito. 

venerdì 30 ottobre 2015

LA GIBUS E I MAL DI PANCIA DI RIFONDAZIONE COMUNISTA

Il consigliere comunale Roberto Daghini, pur facendo parte di una maggioranza al 99% fatta dal Pd, non perde occasione per cercare di mettersi in luce e per riportare agli antichi splendori la bandiera con Falce e Martello che, ormai, quasi più nessuno ama ricordare.

In questi giorni, anche se quasi nessun organo di informazione gli ha dato spazio, ha scritto per rammaricarsi per l'assenza delle forze politiche di minoranza del consiglio comunale di Serravalle in merito alla vicenda della Gibus, l'azienda di Casalguidi che rischia la chiusura, evento che sarebbe drammatico per i 32 lavoratori e per le loro famiglie.

Nello stesso articolo Daghini ringrazia anche il sindaco Patrizio Mungai che, da subito, si è attivato per aprire un confronto con azienda e sindacati.
La speranza è che l'intervento delle istituzioni, Comune e Regione, riesca a scongiurare la chiusura di una realtà economica importante per il territorio serravallino.

Ecco, se Daghini non avesse la fregola di intervenire continuamente al solo scopo di rimarcare una presenza, somigliando  sempre più all'ultimo giapponese (Hiroo Onoda rimase a combattere sulla minuscola isola di Lubang, nelle Filippine, fino al 1974 nonostante la guerra contro gli americani fosse terminata da quasi trent'anni), si renderebbe conto che l'intervento del Sindaco rappresenta tutto il consiglio comunale, maggioranza e minoranza, ed anzi addirittura tutti i cittadini di Serravalle.

Patrizio Mungai, nel suo ruolo istituzionale, non è un rappresentante del Pd o di Rifondazione Comunista ma è il portavoce di tutta la cittadinanza che, siamo sicuri, è concorde nella difesa dei lavoratori della Gibus.

Non vogliamo entrare nel merito delle critiche che Daghini solleva contro il Partito dei Lavoratori, che egli definisce "troskista" (Lev Trockij è morto nel 1940 assassinato dai suoi stessi compagni comunisti e questo la dice lunga sull'attualità del messaggio politico di Daghini) perchè ci sembrano veramente poca cosa rispetto all'importanza della battaglia per la difesa dei posti di lavoro.

A Bergamo dicono "l’avvocato vuole beghe, il dottore malattie il prete funerali": ecco Daghini cerca le beghe non perchè avvocato ma solo perchè deve far sventolare una bandiera rossa ormai sdrucita. Alle spalle dei lavoratori.


domenica 25 ottobre 2015

MISERICORDIA, NON CONDANNE. IL PAPA SUL SINODO



Riproponiamo il messaggio di Papa Francesco al termine del Sinodo sulla famiglia.


Ci piace sottolineare un passaggio che ci ha colpito molto: “Cari Confratelli, l’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia”.


Ognuno però sicuramente potrà trovare spunti interessanti nel testo di Papa Francesco.


Mentre seguivo i lavori del Sinodo, mi sono chiesto: che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia? Certamente non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia, ma aver cercato di illuminarli con la luce del Vangelo, della tradizione e della storia bimillenaria della Chiesa, infondendo in essi la gioia della speranza senza cadere nella facile ripetizione di ciò che è indiscutibile o già detto.
Sicuramente non significa aver trovato soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi che sfidano e minacciano la famiglia, ma aver messo tali difficoltà e dubbi sotto la luce della Fede, averli esaminati attentamente, averli affrontati senza paura e senza nascondere la testa sotto la sabbia.
Significa aver sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del Matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana.
Significa aver ascoltato e fatto ascoltare le voci delle famiglie e dei pastori della Chiesa che sono venuti a Roma portando sulle loro spalle i pesi e le speranze, le ricchezze e le sfide delle famiglie di ogni parte del mondo.
Significa aver dato prova della vivacità della Chiesa Cattolica, che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di sporcarsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia.
Significa aver cercato di guardare e di leggere la realtà, anzi le realtà, di oggi con gli occhi di Dio, per accendere e illuminare con la fiamma della fede i cuori degli uomini, in un momento storico di scoraggiamento e di crisi sociale, economica, morale e di prevalente negatività.
Significa aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole “indottrinarlo” in pietre morte da scagliare contro gli altri.
Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite.
Significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori.
Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile.
Nel cammino di questo Sinodo le opinioni diverse che si sono espresse liberamente – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli – hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa “moduli preconfezionati”, ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i cuori inariditi.

E – aldilà delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – abbiamo visto anche che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo, per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione. In realtà, le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato. Il Sinodo del 1985, che celebrava il 20° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, ha parlato dell’inculturazione come dell’«intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo, e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture umane». L’inculturazionenon indebolisce i valori veri, ma dimostra la loro vera forza e la loro autenticità, poiché essi si adattano senza mutarsi, anzi essi trasformano pacificamente e gradualmente le varie culture.
Abbiamo visto, anche attraverso la ricchezza della nostra diversità, che la sfida che abbiamo davanti è sempre la stessa: annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, difendendo la famiglia da tutti gli attacchi ideologici e individualistici.

E, senza mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri, abbiamo cercato di abbracciare pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i nostri calcoli umani e che non desidera altro che «TUTTI GLI UOMINI SIANO SALVATI» (1 Tm 2,4), per inserire e per vivere questo Sinodo nel contesto dell’Anno Straordinario della Misericordia che la Chiesa è chiamata a vivere.

Cari Confratelli, l’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia (cfr Rm 3,21-30; Sal 129; Lc 11,37-54). Significa superare le costanti tentazioni del fratello maggiore (cfr Lc 15,25-32) e degli operai gelosi (cfr Mt 20,1-16). Anzi significa valorizzare di più le leggi e i comandamenti creati per l’uomo e non viceversa (cfr Mc 2,27).

In questo senso il doveroso pentimento, le opere e gli sforzi umani assumono un significato più profondo, non come prezzo dell’inacquistabile Salvezza, compiuta da Cristo gratuitamente sulla Croce, ma come risposta a Colui che ci ha amato per primo e ci ha salvato a prezzo del suo sangue innocente, mentre eravamo ancora peccatori (cfr Rm 5,6).
Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore (cfr Gv 12,44-50).
Il beato Paolo VI, con parole stupende, diceva: «Possiamo quindi pensare che ogni nostro peccato o fuga da Dio accende in Lui una fiamma di più intenso amore, un desiderio di riaverci e reinserirci nel suo piano di salvezza [...]. Dio, in Cristo, si rivela infinitamente buono [...]. Dio è buono. E non soltanto in sé stesso; Dio è – diciamolo piangendo – buono per noi. Egli ci ama, cerca, pensa, conosce, ispira ed aspetta: Egli sarà – se così può dirsi – felice il giorno in cui noi ci volgiamo indietro e diciamo: Signore, nella tua bontà, perdonami. Ecco, dunque, il nostro pentimento diventare la gioia di Dio».

Anche san Giovanni Paolo II affermava che «la Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia […] e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice».
Anche Papa Benedetto XVI disse: «La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio [...] Tutto ciò che la Chiesa dice e compie, manifesta la misericordia che Dio nutre per l’uomo. Quando la Chiesa deve richiamare una verità misconosciuta, o un bene tradito, lo fa sempre spinta dall’amore misericordioso, perché gli uomini abbiano vita e l’abbiano in abbondanza (cfr Gv 10,10)».
Sotto questa luce e grazie a questo tempo di grazia che la Chiesa ha vissuto, parlando e discutendo della famiglia, ci sentiamo arricchiti a vicenda; e tanti di noi hanno sperimentato l’azione dello Spirito Santo, che è il vero protagonista e artefice del Sinodo. Per tutti noi la parola “famiglia” non suona più come prima, al punto che in essa troviamo già il riassunto della sua vocazione e il significato di tutto il cammino sinodale.

In realtà, per la Chiesa concludere il Sinodo significa tornare a “camminare insieme” realmente per portare in ogni parte del mondo, in ogni Diocesi, in ogni comunità e in ogni situazione la luce del Vangelo, l’abbraccio della Chiesa e il sostegno della misericordia di Dio! 
Grazie!