Riproponiamo il messaggio di Papa Francesco al termine
del Sinodo sulla famiglia.
Ci piace sottolineare un passaggio che ci ha colpito
molto: “Cari Confratelli, l’esperienza
del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina
non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo;
non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non
significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei
comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta
secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità
illimitata della sua Misericordia”.
Ognuno però sicuramente potrà trovare spunti
interessanti nel testo di Papa Francesco.
Mentre seguivo i lavori del Sinodo, mi sono chiesto: che
cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?
Certamente non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia, ma
aver cercato di illuminarli con la luce del Vangelo, della tradizione e della
storia bimillenaria della Chiesa, infondendo in essi la gioia della speranza
senza cadere nella facile ripetizione di ciò che è indiscutibile o già detto.
Sicuramente non significa aver trovato soluzioni
esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi che sfidano e minacciano la
famiglia, ma aver messo tali difficoltà e dubbi sotto la luce della Fede,
averli esaminati attentamente, averli affrontati senza paura e senza nascondere
la testa sotto la sabbia.
Significa aver sollecitato tutti a comprendere
l’importanza dell’istituzione della famiglia e del Matrimonio tra uomo e donna,
fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base
fondamentale della società e della vita umana.
Significa aver ascoltato e fatto ascoltare le voci
delle famiglie e dei pastori della Chiesa che sono venuti a Roma portando sulle
loro spalle i pesi e le speranze, le ricchezze e le sfide delle famiglie di
ogni parte del mondo.
Significa aver dato prova della vivacità della Chiesa
Cattolica, che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di
sporcarsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia.
Significa aver cercato di guardare e di leggere la
realtà, anzi le realtà, di oggi con gli occhi di Dio, per accendere e
illuminare con la fiamma della fede i cuori degli uomini, in un momento storico
di scoraggiamento e di crisi sociale, economica, morale e di prevalente
negatività.
Significa aver testimoniato a tutti che il Vangelo
rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole
“indottrinarlo” in pietre morte da scagliare contro gli altri.
Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso
si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone
intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con
superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite.
Significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei
poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti
e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori.
Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per
superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere
e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della
Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico
o semplicemente non comprensibile.
Nel cammino di questo Sinodo le opinioni diverse che
si sono espresse liberamente – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto
benevoli – hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo
un’immagine viva di una Chiesa che non usa “moduli preconfezionati”, ma che
attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i
cuori inariditi.
E – aldilà delle questioni dogmatiche ben definite dal
Magistero della Chiesa – abbiamo visto anche che quanto sembra normale per un
vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo, per il
vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un
diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra;
ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo
confusione. In realtà, le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio
generale ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e
applicato. Il Sinodo del 1985, che celebrava il 20° anniversario della conclusione
del Concilio Vaticano II, ha parlato dell’inculturazione come
dell’«intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante
l’integrazione nel cristianesimo, e il radicamento del cristianesimo nelle
varie culture umane». L’inculturazionenon indebolisce i valori veri, ma
dimostra la loro vera forza e la loro autenticità, poiché essi si adattano
senza mutarsi, anzi essi trasformano pacificamente e gradualmente le varie
culture.
Abbiamo visto, anche attraverso la ricchezza della
nostra diversità, che la sfida che abbiamo davanti è sempre la stessa:
annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, difendendo la famiglia da tutti gli
attacchi ideologici e individualistici.
E, senza mai cadere nel pericolo del relativismo
oppure di demonizzare gli altri, abbiamo cercato di abbracciare
pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i
nostri calcoli umani e che non desidera altro che «TUTTI GLI UOMINI SIANO
SALVATI» (1 Tm 2,4), per inserire e per vivere questo Sinodo nel
contesto dell’Anno Straordinario della Misericordia che la Chiesa è chiamata a
vivere.
Cari Confratelli, l’esperienza del Sinodo ci ha fatto
anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che
difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la
gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo
diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma
esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e
nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità
illimitata della sua Misericordia (cfr Rm 3,21-30; Sal 129; Lc
11,37-54). Significa superare le costanti tentazioni del fratello maggiore (cfr
Lc 15,25-32) e degli operai gelosi (cfr Mt 20,1-16). Anzi
significa valorizzare di più le leggi e i comandamenti creati per l’uomo e non
viceversa (cfr Mc 2,27).
In questo senso il doveroso pentimento, le opere e gli
sforzi umani assumono un significato più profondo, non come prezzo dell’inacquistabile
Salvezza, compiuta da Cristo gratuitamente sulla Croce, ma come risposta a
Colui che ci ha amato per primo e ci ha salvato a prezzo del suo sangue
innocente, mentre eravamo ancora peccatori (cfr Rm 5,6).
Il primo dovere della Chiesa non è quello di
distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di
Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza
del Signore (cfr Gv 12,44-50).
Il beato Paolo VI, con parole stupende, diceva:
«Possiamo quindi pensare che ogni nostro peccato o fuga da Dio accende in Lui
una fiamma di più intenso amore, un desiderio di riaverci e reinserirci nel suo
piano di salvezza [...]. Dio, in Cristo, si rivela infinitamente buono [...].
Dio è buono. E non soltanto in sé stesso; Dio è – diciamolo piangendo – buono
per noi. Egli ci ama, cerca, pensa, conosce, ispira ed aspetta: Egli sarà – se
così può dirsi – felice il giorno in cui noi ci volgiamo indietro e diciamo:
Signore, nella tua bontà, perdonami. Ecco, dunque, il nostro pentimento
diventare la gioia di Dio».
Anche san Giovanni Paolo II affermava che «la Chiesa
vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia […] e quando
accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa è
depositaria e dispensatrice».
Anche Papa Benedetto XVI disse: «La misericordia è in
realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio
[...] Tutto ciò che la Chiesa dice e compie, manifesta la misericordia che Dio
nutre per l’uomo. Quando la Chiesa deve richiamare una verità misconosciuta, o
un bene tradito, lo fa sempre spinta dall’amore misericordioso, perché gli
uomini abbiano vita e l’abbiano in abbondanza (cfr Gv 10,10)».
Sotto questa luce e grazie a questo tempo di grazia
che la Chiesa ha vissuto, parlando e discutendo della famiglia, ci sentiamo
arricchiti a vicenda; e tanti di noi hanno sperimentato l’azione dello Spirito
Santo, che è il vero protagonista e artefice del Sinodo. Per tutti noi la
parola “famiglia” non suona più come prima, al punto che in essa troviamo già
il riassunto della sua vocazione e il significato di tutto il cammino sinodale.
In realtà, per la Chiesa concludere il Sinodo
significa tornare a “camminare insieme” realmente per portare in
ogni parte del mondo, in ogni Diocesi, in ogni comunità e in ogni situazione la
luce del Vangelo, l’abbraccio della Chiesa e il sostegno della misericordia di
Dio!
Grazie!
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