mercoledì 17 dicembre 2014

QUANDO I BAMBINI SONO IL NEMICO

«La violenza non è mai insensata. Quando la definiamo così non la capiamo: ha sempre un significato». A parlare è Adriano Zamperini, docente di Psicologia della violenza all’Università di Padova e recente autore per Il Mulino di La bestia che è in noi. Smascherare l’aggressività. Il riferimento è all’eccidio perpetrato nella scuola in Pakistan: «In questo caso – afferma – il senso non è nelle caratteristiche personali delle vittime, ma nella loro identità collettiva.

Vuole dire che agli occhi di chi ha sparato non esistevano i singoli bambini?
Esattamente. Gli esseri umani hanno la capacità di togliere umanità ai singoli individui. Pertanto quei bambini assassinati non erano esseri umani, ma soggetti omologati nella categoria del nemico. Una categoria che racchiude in se stessa tutto il negativo possibile. Il nemico è colui che minaccia i nostri valori di riferimento; colui al quale non è possibile concedere alcuna emozione simpatetica...

In un contesto come quello pachistano cosa significa?
Si tratta di conflitti in cui viene messo in primo piano il senso dell’identità sociale di appartenenza. Chi viene ucciso non conta come persona, ma come appartenente a un corpo sociale. Questo, come dicevamo, spiega molto bene tali forme di brutalità in cui il carnefice non percepisce l’umanità delle sue vittime.

Una dinamica vista tante volte nella storia.
Il processo di base è lo stesso che ha consentito il funzionamento della macchina di sterminio nazista.

Qualcuno teorizza e sfrutta le sue conoscenze psicologiche per condizionare le persone, che poi eseguono?
La persona che esegue non deve pensare: qualcun altro ha già pensato prima e ha stabilito che il nemico deve essere rimosso perché è un ostacolo. Se pensa, nel 90% dei casi non spara.

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