Il dibattito che Grillo ha sollevato sull’art. 67
della Costituzione, che riconosce la libertà dell’eletto senza vincoli di
mandato, dimostra quanto abbiano ragione coloro che vedono nel movimento dei 5 Stelle un fenomeno lontano dalla democrazia.
L’eletto per Grillo è come un “lavoratore dipendente”,
cioè prende ordini dal partito al quale
appartiene, pena le dimissioni o la “scomunica” del partito stesso.
I deputati e i senatori sono stati infatti più
volte definiti come “licenziabili” se colpevoli di aver tradito il patto con
gli elettori.
Il discorso di Grillo viene da tanti condiviso,
soprattutto da chi, almeno in un primo momento e superficialmente, non riflette sulla portata del
ragionamento e sulle sue conseguenze.
Intanto diciamo che quanto
contenuto nell’art. 67 della Costituzione non è una norma esclusiva italiana, ma è
comune alla quasi totalità delle democrazie rappresentative. Deriva dal
principio del libero mandato (ovvero del divieto di mandato imperativo),
formulato da Edmund Burke già prima della Rivoluzione Francese ed ha una sua ragion d'essere asolutamente condivisibile.
La norma recita: “Ogni membro del Parlamento
rappresenta la Nazione
ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Il primo capoverso contiene il concetto di rappresentanza. Il
parlamentare rappresenta la
Nazione, l’intera Nazione, non una categoria particolare o
una parte geografica, ma tutta la
Nazione, intesa come il popolo nel suo insieme. Non posso
essere il parlamentare solo di una parte d’Italia (del nord, del sud…) né posso
essere il parlamentare di una sola categoria (degli insegnanti, degli anziani,
delle donne…).
Proprio perchè l'interesse generale è predominante, chi viene eletto in Parlamento non deve risponde delle
sue azioni a nessuno, neanche al proprio partito. Prima viene il "bene comune", poi quello del proprio partito o delle categoria professionale alla quale si appartiene o dell'associazione alla quale siamo iscritti...
L’esatto
opposto di quel che chiedono i 5 Stelle, che invece vorrebbero sottoporre
l’eletto non al giudizio degli elettori bensì al giudizio degli iscritti al
movimento. Quindi, per loro, il movimento 5 Stelle viene prima dell'interesse dell'Italia e degli italiani.
I 5 Stelle dimenticano di essere democratici e
vogliono eliminare gli eletti con decisioni interne al partito e così facendo derubano
l’elettore dell’unico controllo che ha sull’eletto, ovvero il voto.
Se l’eletto traditore (ma poi chi stabilisce se
ha tradito? Grillo? Casaleggio?), non accetta di dimettersi, viene cacciato dal movimento, metodo che riporta alla memoria le purghe di Stalin.
I problemi
della nostra democrazia non si risolvono trasformando i deputati e i senatori
in “cani al guinzaglio”.
Il divieto di mandato imperativo è principio essenziale
per far sì che le Camere perseguano l’interesse generale della Nazione e non
interessi privati.
In questo senso, aggiungo, anche la legge elettorale “Calderoli”
detta, non a caso, anche “porcellum”, con la formula delle liste bloccate e l’abolizione
della preferenza, ha di fatto costituito un’elusione della norma del divieto di
mandato imperativo. Tramite la minaccia delle non rielezione, le segreterie di
partito, se contaminate dagli intenti lontani dall’interesse generale,
controllano i parlamentari.
La lettere di dimissioni in bianco dei grillini e
le parole di Grillo su questo argomento rafforzano ulteriormente il controllo
del movimento nei confronti degli eletti, vanno cioè nella direzione sbagliata.
Tutto il contrario dunque di quello che vorrebbero apparire: non solo non sono affatto una novità nel panorama politico italiano nè sono più democratici degli altri partiti ma, addirittura, aggravano i difetti del nostro sistema.
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