lunedì 4 marzo 2013

GRILLO, MA LA DEMOCRAZIA?


Il dibattito che Grillo ha sollevato sull’art. 67 della Costituzione, che riconosce la libertà dell’eletto senza vincoli di mandato, dimostra quanto abbiano ragione coloro che vedono nel movimento dei 5 Stelle un fenomeno lontano dalla democrazia.

L’eletto per Grillo è come un “lavoratore dipendente”, cioè  prende ordini dal partito al quale appartiene, pena le dimissioni o la “scomunica” del partito stesso.
I deputati e i senatori sono stati infatti più volte definiti come “licenziabili” se colpevoli di aver tradito il patto con gli elettori. 

Il discorso di Grillo viene da tanti condiviso, soprattutto da chi, almeno in un primo momento e superficialmente, non riflette sulla portata del ragionamento e sulle sue conseguenze.

Intanto diciamo che quanto contenuto nell’art. 67 della Costituzione non è una norma esclusiva italiana, ma è comune alla quasi totalità delle democrazie rappresentative. Deriva dal principio del libero mandato (ovvero del divieto di mandato imperativo), formulato da Edmund Burke già prima della Rivoluzione Francese ed ha una sua ragion d'essere asolutamente condivisibile.

La norma recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

Il primo capoverso  contiene il concetto di rappresentanza. Il parlamentare rappresenta la Nazione, l’intera Nazione, non una categoria particolare o una parte geografica, ma tutta la Nazione, intesa come il popolo nel suo insieme. Non posso essere il parlamentare solo di una parte d’Italia (del nord, del sud…) né posso essere il parlamentare di una sola categoria (degli insegnanti, degli anziani, delle donne…).

Proprio perchè l'interesse generale è predominante, chi viene eletto in Parlamento non deve risponde delle sue azioni a nessuno, neanche al proprio partito. Prima viene il "bene comune", poi quello del proprio partito o delle categoria professionale alla quale si appartiene o dell'associazione alla quale siamo iscritti...

L’esatto opposto di quel che chiedono i 5 Stelle, che invece vorrebbero sottoporre l’eletto non al giudizio degli elettori bensì al giudizio degli iscritti al movimento. Quindi, per loro, il movimento 5 Stelle viene prima dell'interesse dell'Italia e degli italiani.

I 5 Stelle dimenticano di essere democratici e vogliono eliminare gli eletti con decisioni interne al partito e così facendo derubano l’elettore dell’unico controllo che ha sull’eletto, ovvero il voto. 

Se l’eletto traditore (ma poi chi stabilisce se ha tradito? Grillo? Casaleggio?), non accetta di dimettersi, viene cacciato dal movimento, metodo che riporta alla memoria le purghe di Stalin.

I  problemi della nostra democrazia non si risolvono trasformando i deputati e i senatori in “cani al guinzaglio”.
Il divieto di mandato imperativo è principio essenziale per far sì che le Camere perseguano l’interesse generale della Nazione e non interessi privati. 

In questo senso, aggiungo, anche la legge elettorale “Calderoli” detta, non a caso, anche “porcellum”, con la formula delle liste bloccate e l’abolizione della preferenza, ha di fatto costituito un’elusione della norma del divieto di mandato imperativo. Tramite la minaccia delle non rielezione, le segreterie di partito, se contaminate dagli intenti lontani dall’interesse generale, controllano i parlamentari.

La lettere di dimissioni in bianco dei grillini e le parole di Grillo su questo argomento rafforzano ulteriormente il controllo del movimento nei confronti degli eletti, vanno cioè nella direzione sbagliata. 

Tutto il contrario dunque di quello che vorrebbero apparire: non solo non sono affatto una novità nel panorama politico italiano nè sono più democratici degli altri partiti ma, addirittura, aggravano i difetti del nostro sistema.


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