lunedì 22 agosto 2011

MEMORIA STORICA

L'intervento del Presidente Giorgio Napolitano al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione ha raccolto ampi consensi sia da parte dei presenti che da tutti i politici di destra e di sinistra.

Napolitano ha parlato della crisi economica e dell'urgenza di trovare strade per uscire da una situazione drammatica che allarma tutti e crea incertezza per il futuro dell'Italia e nostro personale.
Ha anche sollecitato i giovani ad impegnarsi in politica, sostenendo che le nuove generazioni hanno gli strumenti per affrontare un mondo in continua evoluzione, sia dal punto di vista economico che sociale.

Tutto bello, tutto giusto, ma...

Sì c'è un "ma", perchè le parole acquistano un senso anche in base al soggetto che le pronuncia.
Con tutto il rispetto, quando Madre Teresa di Calcutta parlava dei poveri, degli ultimi, dei diseredati aveva un'altra credibilità rispetto a Walter Veltroni che affrontava sì gli stessi temi, però stando seduto in Campidoglio e non per le strade di Calcutta.
E allora vorrei ricordare che Giorgio Napolitano, che esorta i giovani all'azione politica, occupa l'incarico istituzionale più retribuito della nostra Repubblica, essendo nato nel giugno del 1925 ed avando quindi compiuto 86 anni. E' stato eletto al Parlamento per la prima volta nel 1953 (58 anni or sono), cioè quando nemmeno uno di coloro che lo applaudivano dalla platea di Rimini era prossimo a venire al mondo.
Di più, negli anni settanta era il responsabile economico del Pci e rientra quindi nel novero di coloro che, attraverso lotte sindacali durissime, hanno portato alle baby pensioni dei dipendenti pubblici (15 anni 6 mesi e 1 giorno bastavano per andarsene in pensione e di questo ne ha approfittato, tra i molti, anche la moglie di Umberto Bossi che oggi sembra essere diventato il paladino dei pensionati).

Insomma ci è sembrato un po' demagogico prendere le distanze sia da destra che da sinistra, strappando facili applausi, e chiamarsi fuori dal disastro politico-economico che una classe incapace di amministratori ha causato al nostro Paese.
Il salatissimo conto che oggi siamo costretti a pagare e che pagheranno ancor di più quei giovani che il Presidente della Repubblica vorrebbe vedere impegnati, ha molti padri, ma uno di questi è sicuramente Giorgio Napolitano.


sabato 13 agosto 2011

IL MIO CUORE GRONDA SANGUE

Leggo, leggo e rileggo, ma nulla, non trovo nulla che mi racconti qualcosa di quello che mi ero immaginato.

Nel decreto fiscale approvato stanotte mancano le misure per rilanciare l'economia, non esiste alcun disegno per favorire l'occupazione e, di conseguenza, rilanciare anche i consumi; sono assenti i tagli ai costi della politica, quella romana, guarda caso.

Intendiamoci, sono d'accordo con la riduzione delle Province (anzi le avrei abolite del tutto) e con l'accorpamento dei piccoli comuni (anzi la soglia avrebbe dovuto essere portata secondo la mia opinione a 5.000 abitanti). Ma si sceglie di tagliare sempre e solo sul governo locale del territorio, come già è stato fatto recentemente con la riduzione del numero dei consiglieri comunali, e mai si decide per una taglio al numero dei parlamentari e dei loro tanti privilegi. In barba al tanto decantato federalismo leghista che dovrebbe portare a valorizzare i governi locali e non certo quello centrale.

Nella manovra c'è solo un bel salasso per le tasche degli italiani dovuto, secondo Tremonti e Berlusconi, al crollo dei mercati degli ultimi cinque giorni. Ma nonostante il cuore del premier grondi sangue, come lui stesso ha sostenuto anche se questo mi impietosisce assai poco, in realtà il timore di default per i titoli di Stato italiani è stato causato non da quanto avvenuto negli ultimi cinque giorni ma per quanto non fatto, anche se promesso, negli ultimi quindici anni.

Agli italiani non resta che pagare il conto, questa è la conseguenza, ma quel che è peggio è che non vi è nessuna prospettiva di miglioramento per il futuro.

Si paga e basta e, per dirla con Lorenzo il Magnifico "del doman non v'è certezza", purtroppo senza che nessuno possa essere lieto di alcunchè.






giovedì 4 agosto 2011

NUOVO SECOLO

Mentre gli equilibri economici mondiali, ormai cambiati da tempo, si sono resi evidenti agli occhi dei più a causa delle turbolenze sui mercati finanziari di questi giorni, la politica italiana ha finto di interrogarsi sulle cause e soprattutto sulle prospettive per il nostro Paese.

Nell'anno dei solenni festeggiamenti per i 150 anni dell'unità appare sempre più confuso il disegno strategico per la nostra economia, per il nostro sistema produttivo, per il sistema del lavoro.

Il Presidente del Consiglio, ancora nominalmente in carica ma incredibilmente assente nei fatti, è divenuto anche umanamente irriconoscibile, visto che, per la prima volta, dopo tanti anni, sembra subire la scena invece di esserne l'assoluto protagonista. Somiglia sempre più ad un pugile al quale le hanno suonate di brutto ma che ancora non è finito a terra, anche se tutti sanno che ormai è questione di secondi e da un momento all'altro arriverà il colpo del definitivo ko.

Certo suona strano che Berlusconi, l'imprenditore, il creatore di posti di lavoro, il mago della finanza, l'uomo di successo, il leader del "meno tasse per tutti", esca alla fine sconfitto non per mano degli avversari politici e nemmeno per l'azione ("persecutoria", direbbe lui) dei magistrati politicizzati, ma per effetto della crisi economica globale. Lui che, forse più di altri, avrebbe dovuto capire la portata storica di certi cambiamenti nel panorama economico mondiale ha preferito negare a lungo l'esistenza della crisi, come se bastasse esorcizzare la paura semplicemente toccandosi o affidandosi alla benevolenza di qualche santo.
Gli tocca ora anche subire l'iniziativa politica degli altri, opposizioni e parti sociali, che gli dettano i tempi dell'agenda politica, cosa mai avvenuta prima nell'era berlusconiana.
D'altra parte l'uomo appartiene ormai al vecchio secolo, che ci ha messo una decina d'anni in più a finire, e segue pertanto logiche buone per gli schemi politici ed economici del '900. E' stato un grande imprenditore, nessuno può negarlo, ma appartiene ad una classe dirigente di Paesi che sono nella fase del declino.

Il problema è che "vecchi" come lui, in Italia ma in Europa in generale, ce ne sono un po' troppi, e molti di costoro occupano posti di responsabilità nella politica, nell'economia, nella finanza.
Le stesse parti sociali che hanno costretto al confronto il Presidente del Consiglio in realtà spesso rappresentano poco più che se stesse, non avendo nessuna reale delega da parte dei cittadini.
Il mondo reale è da un'altra parte.