C’è
una "fabbrica della paura" in servizio permanente effettivo che ha
costruito una narrativa che alimenta la xenofobia di una parte degli
italiani: gli stranieri sbarcano in numero sempre maggiore sulle nostre
coste togliendo lavoro e risorse per il welfare agli italiani. Niente di
più falso. I gesti concreti di accoglienza e le parole chiare venute
ancora una volta dalla Chiesa italiana – soprattutto (ma non solo) per
bocca del segretario generale della Cei, il vescovo Nunzio Galantino –
hanno il merito di cogliere con particolare lucidità questo problema,
particolarmente grave, che si aggroviglia a cavallo tra politica e
comunicazione in Italia.
Cominciamo ad annotare, allora, che
gli immigrati non sono un peso ma un beneficio per le casse dello Stato
pagando 8,6 miliardi di euro di imposte su 45 miliardi di reddito
imponibile e ottenendo, nel complesso, risorse pubbliche per 3,9
miliardi in meno. Con un rapporto di 1,06 – praticamente di uno a uno –
tra popolazione che lavora e inattivi (il più basso nella Ue dopo la
Grecia e contro l’1,76, ad esempio, della Germania) abbiamo, poi, enorme
bisogno di "forza lavoro" addizionale. Quanto agli arrivi sta accadendo
in realtà l’opposto di ciò che si racconta, perché la crisi economica
ha ridotto la desiderabilità del nostro Paese. Gli immigrati si fermano
da noi in quantità minori rispetto agli anni passati, approdano e
transitano con la speranza di arrivare altrove, e invece noi ne abbiamo
bisogno.
E purtroppo li sfruttiamo (come sta raccontando
l’impressionante reportage di Matteo Fraschini Koffi pubblicato ieri e
oggi a pagina 4,
ndr) in filiere agricole dove sono pagati
pochi euro al giorno per tenere bassi i prezzi dei nostri prodotti e
alti i guadagni degli intermediari. Uno sfruttamento che arriva
all’estremo, come le ancora recentissimi notizie di quattro morti per
caldo e fatica nella raccolta di uva e pomodori in Puglia.
In
una sua riflessione contro «la retorica della paura», Maurizio
Ambrosini ricorda che gli ingressi che erano fino al 2009 più di 400mila
all’anno sono scesi a circa 250mila (con una quota dominante di
ingressi regolari rispetto agli sbarchi irregolari). Molti più stranieri
vengono in realtà accolti da Germania, Francia, Regno Unito. Per non
parlare di Paesi più "poveri" (ma evidentemente più ricchi di capacità
di accoglienza) come Turchia e Libano, alle prese con milioni di di
rifugiati senza per questo vedere incepparsi le loro economie. In
Libano, oggi, ci sono 200 rifugiati ufficiali (in crescita costante) per
1.000 abitanti, in Italia 1 e in Svezia 9. E come quota di immigrati
sulla popolazione in Italia siamo molto al di sotto di altri grandi
Paesi come Germania e Francia anche se abbiamo registrato una crescita
maggiore dal 2000 ad oggi.Come ho potuto personalmente
osservare in una ricerca condotta in Germania, negli anni di recessione
la tolleranza verso gli stranieri tende a diminuire: ciò accade per la
percezione che la torta non cresce e che lo "straniero" è colui che
arriva per ridurre la tua fetta. I dati sopra citati ci dicono però che
in realtà non è così, perché gli stranieri che lavorano contribuiscono a
rendere la torta più grande e il loro "voto coi piedi" nei periodi di
recessione si dirige in maniera preferenziale verso Paesi dove le torte
sono maggiori e continuano a crescere (e i migranti contribuiscono col
loro lavoro a farle crescere meglio). Ecco perché l’Italia è oggi meta
molto meno appetita e prevalente terra di transito.
Il fatto che
alcuni organi di comunicazione si siano trasformati da tranquilli e seri
luoghi di approfondimento a "fabbriche del sospetto" e persino a
"fabbriche dell’odio" verso gli stranieri dovrebbe allarmarci.
L’obiettivo viene spesso realizzato con strumenti rozzi e grossolani, ma
comunque efficaci nell’influenzare la sensibilità meno attenta
dell’opinione pubblica.
Se il protagonista di un fatto efferato di cronaca è un nostro
connazionale l’origine geografica non conta, se è un romeno, un rom o un
africano la provenienza finisce subito nel titolo e per giorni apre il
dibattito sul carattere della popolazione in questione. Più in generale,
per motivi speculativi di posizionamento di mercato mediatico e
politico, la "fabbrica dell’odio" fa passare un’associazione falsa e
insidiosa: se per molti italiani le cose non vanno come un tempo, se il
benessere economico si riduce, se si esce dalla classe media (7 milioni
di persone), se per la prima volta questa generazione non crede che il
futuro sarà migliore del presente, la colpa è di chi sbarca sulle nostre
coste fuggendo da guerre e povertà.
Già in passato il
soffermarsi morboso sui fatti di cronaca nera ha prodotto un’alterazione
della realtà, con un’insicurezza percepita in grande aumento a fronte
di una riduzione secolare degli omicidi nel nostro Paese. Oggi il
tragico giochino si ripete con gli immigrati che sbarcano sulle nostre
coste: sono in spaventoso aumento, si grida, e gli altri Paesi europei
lasciano tutto il fardello e i relativi costi sulle nostre spalle. Le
cronache di questo giornale smontano falsità e luoghi comuni, ma la
"fabbrica della paura" (e del risentimento) lavora a pieno ritmo.
È
evidente che l’immigrazione, oggi come in passato, richiede politiche
efficaci a livello nazionale e internazionale relativamente alla
distribuzione dei flussi, ai processi d’integrazione e ai criteri di
selezione. Ma non è questo il punto su cui vogliamo soffermare
l’attenzione. Se la strategia dell’opposizione al governo Renzi – che
sta occupando anche spazi sinora tipici del centrodestra, annunciando un
piano di riduzione delle tasse – è quella dell’odio contro gli
stranieri il gioco è a perdere per l’Italia oltre che per chi lo
conduce. La maggioranza degli italiani non si conquista con la retorica
della paura. Il che non deve però indurci a ignorare il fatto che i
danni che questa campagna può produrre al nostro tessuto sociale possono
essere devastanti. Assieme all’annebbiamento delle menti, la "fabbrica
della paura" può impoverirci non solo economicamente, ma anche
umanamente e spiritualmente.
(TRATTO DA
www.avvenire.it)