mercoledì 29 ottobre 2014

LA MADRE STAVA

Il quotidiano "La Croce" che sarà in edicola dal 13 gennaio 2015, nel suo numero zero ospita questo magnifico articolo scritto da Katia Giardiello.

Per chi volesse seguire sin da subito il quotidiano, consiglio la pagina Facebook (La Croce Quotidiano). 

Mi chiamo Katia e sono la mamma di piccola M, una bambina oggi di 10 mesi nata con una gravissima e rarissima malformazione ad una vena del cervello. 22 agosto del 2012 a 37 settimane e qualche giorno faccio una semplice eco di controllo. Il medico sbianca esce e ne entra un altro, un professore. Ci dice che c’è un problema grave, c’è un altissima possibilità che la bambina nasca morta o gravemente cerebrolesa, con danni neurologici o motori, perché praticamente metà del suo cervello è una massa aneurismatica. Mio marito praticamente sviene e l’unica cosa che provo è un enorme tenerezza, penso che è mia figlia e la proteggerò.

M nasce il 24 agosto viva e sembra sana, mi viene appoggiata in grembo dopo un parto fisiologico perfetto di 5 ore, un marito ed un’ostetrica meravigliosi, insostituibili. Due minuti, il tempo di guardarla dritto negli occhi e mi viene portata via, in un reparto di subintensiva per poterla controllare da cima a fondo e capire se sta bene. Dopo 4 giorni la rivedo e inizio ad andare lì in reparto per allattarla, la notte invece con il papi si torna a casa, da soli. Dopo 20 giorni torna a casa con noi in attesa di poter intervenire sulla massa, ci dicono che inspiegabilmente la bambina è sana, ma l’aneurisma potrebbe scoppiare da un momento all’altro o creare danni permanenti o ancora farle scoppiare il cuore per l’enorme quantità di sangue che pompa. Va trattata, operata endoscopicamente, i rischi sono alti, ma se non si agisce morirebbe comunque. A 29 giorni di vita ricevi il battesimo “ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio” poi, il viaggio della speranza in un altra regione, da un importante professore che però ci confonde con la sua poca umiltà. Lui è molto importante ma noi preferiamo affidarti a chi ti ha fatta nascere.

Porziuncola, affidamento della piccola a Maria. Fine novembre unzione degli infermi: voglio che sia tutta tua, sempre e comunque. 4 dicembre prima operazione rischio di morte altissimo, di emorragia, e su una bimba così piccola non si farebbe in tempo ad arrivare in sala operatoria. M esce dalla sala operatoria indenne. la massa cresce e bisogna operare di nuovo. siamo nella fatica, fisica, psichica e spirituale. Il respiro è pesante. Questo secondo intervento ha i medesimi rischi e noi siamo molto molto stanchi. Il fatto di avere più coscienza di tutto non aiuta. Il cammino è fatto di grandi speranze ma anche di profonda angoscia. Sentirsi ripetere alcune parole ormai da sei mesi è veramente faticoso. Nei momenti di angoscia, quando il dolore diventa a volte rabbia e Male, il rumore dentro la testa è tanto e si teme anche di fare del male al proprio bambino. La parola morte e la parola malattia o malformazione diventano un nemico che se non viene in qualche modo “accolto” non lascia spazio all’Amore.

Chiediamo sempre e incessantemente preghiere, la Rete della piccola M di amici, parenti, conoscenti è fitta e ci sostiene con pensieri e preghiere. risonanza di controllo. L’aneurisma non è solo, sono due sacche gigantesche che crescono velocemente, sono tra loro collegate e, mai visto prima, drenano nel cervello, quindi per inciso le sacche non possono essere semplicemente trombizzate cioè chiusa la sacca come negli altri casi di aneurisma, perché drenano sangue buono direttamente nel cervello. M è il primo caso assoluto al mondo. bisognerà trattarla regolarmente per ridurre al minimo i rischi e far sì che possa vivere una vita normale.

5 febbraio seconda operazione rischio di trombosi. M entra in sala operatoria. La porta si chiude, la porta si apre. M è viva — lacrime — M è viva. Nessun danno cerebrale. La massa è stata trattata al 90 per cento. 24 febbraio festeggiamo il complemezzano, per essere una che doveva nascere morta, è una data da festeggiare. Iter solito. Dopo un mese risonanza di controllo. Il trend di crescita si è bloccato e l’aneurisma più grande si è esteso, però pur trattando il 90 per cento si è ridotta la sacca più piccola ma l’altra quella più grossa non è cambiata, non si è ridotto nulla. Si sono anche formate altre malformazioni.

Gelo.

Loro sono interdetti e umanamente dispiaciuti. Stanno dando tutta la professionalità che possono, e tutto il sostegno umano che noi abbiamo sempre sentito — “la strada si fa stretta, dritta, ma stretta” — stretta angoscia. Solo pura angoscia. Gesù piangeva sangue. Non c’è nessun altro modo di descrivere l’angoscia della morte. Dio, busso alla porta del tuo cuore e ti chiedo cosa vuoi da me, ho paura della tua risposta, ti temo. Sia fatta la tua volontà e non la mia. No, non ci riesco. Ti vedo lontano, girato di spalle, non capisco più nulla: sei tu che decidi? Mi sembra di impazzire. Nessun pensiero è lucido. Non c’è luce. Da quel momento per me inizia una dura lotta.

Non ho mai chiesto il perché, mai, non ho nemmeno mai chiesto la guarigione di mia figlia, non ci riuscivo, ma la cosa che mi distruggeva è che la parola morte stava prendendo il sopravvento e che temevo mio Padre. Poi dal timore è arrivata la rabbia. mi scoprivo a sfidarlo, ma desideravo ardentemente che lui ci fosse. Lo bestemmiavo perché ero come ogni figlio che vuole dimenticare un Padre, in fondo continua a cercarlo sempre. “Cosa vuoi ancora? non ti lascerò andare finché non mi avrai benedetta! come Giacobbe dall’altra parte del fiume ti aspetterò e ci picchieremo e ne sopravviverà solo uno … e non sei tu! … rispondi! dove sei? io voglio che tu ci sia, benedicimi!".

Urla mute.

25 aprile, in auto verso Vezzolano e poi colle Don Bosco. “Chiunque crede in me, anche se muore vivrà, chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?” Credi questo? Credi questo? Depongo le armi e Ti chiedo per la prima volta: “Papà, guarisci il mio cuore e guarisci la mia bambina”. Mai il nome Papà mi era sembrato tanto dolce.

8 maggio ore 15 “non sia turbato il tuo cuore e non abbia timore”. 8 maggio ore 16 ci chiama la dottoressa e ci dice: “Il 14 maggio è confermato, ma volevamo comunicarvi che siamo stupiti dalla risonanza di ieri, perché si può vedere che anche la sacca più grossa sta iniziando piano piano a ridursi. La strada è lunga ma è questa. Dobbiamo continuare in questa direzione". (ndr. da letteratura scientifica le riduzioni dopo i trattamenti si vedono nel giro di un mese, dopo non cambia quasi nulla). Il mio cuore smette di battere. Si risale in giostra. Si richiede pazienza speranza forza d’animo amore e fiducia piena, con deposizione di armi. Ecco, tutto è difficile, ma quest’ultima cosa senza le preghiere di tutti coloro che hanno sostenuto M e senza la presenza dei nostri cari e amici accanto non sarebbe stata possibile, sarebbe stata disumana. La deposizione delle armi è disumana.

14 maggio terza operazione M esce dalla sala, post operatorio lungo. 28 maggio entra la neurochirurga in stanza e ci dice che anche l’aneurisma più grosso si sta riducendo e che altre due vene stanno drenando naturalmente al suo posto nel cervello — “ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio” — non ci sarà una quarta operazione.

Silenziosa e composta, incredula e profondissima gioia.

Io non sono stata e non mi sento una mamma forte, io non credo di essere forte nemmeno nella fede. Io non credo di aver capito molto. Né del dolore né della resurrezione. La morte la malattia il dolore restano un mistero. Sono piena di gioia ma anche di dolore per l’alzati che Gesù ha voluto dare alla mia piccola M, per la gloria di Dio, ma chiedersi perché lei sì e altri bambini no non ha senso, fa solo male. Ma a volte come mamma mi succede. Quello che so è che per essere pienamente umani dobbiamo Stare, senza fuga, in qualsiasi cosa.

Lui ci vuole così.

Per questo è incisa dentro di me, nella parte più intima del mio dolore e della mia gioia, l’immagine di Maria: La Madre Stava. Stabat Mater. Vangelo di Giovanni, la madre stava. Stava, lì, in silenzio, sotto la croce. Stare è disumano, devastante, semplicemente atroce. Ma Stare è disumano anche e proprio perché non è solo umano. Per Stare ci deve essere un secondo “Sì”. A Lui.

E' passato 1 mese e mezzo dall’operazione, facciamo controlli regolari perché M resta in sorveglianza speciale, e la nostra vita ha cominciato ad essere piano piano una vita “normale”. Così mi ritrovo spesso di notte a pensare. Penso a questa avventura con la nostra piccola grande M, ai primi attimi, a quando me l’hanno portata via. E penso a Chiara Corbella Petrillo, al suo dire che il nostro cuore conosce bene quale sia la Verità e penso che Dio è Padre buono, perché ti insegna ad Amare a piccoli passi proprio lì dove è la tua più grande Paura.

Desidero con tutto il cuore dire ai tanti e cari genitori nella fatica di non abbattersi.

Ci saranno i giorni e soprattutto le notti dell’angoscia, suderete sangue e lacrime, bestemmierete, e il vostro spirito sarà come schiacciato da un enorme sasso che non vi farà respirare. Sarete nel sepolcro più buio. Ma non fatevi vincere dall’angoscia. Forza! Chiedete incessantemente, stringetevi forte a Lui, stringete forte vostro marito e vostro figlio. E fidatevi e affidatevi agli strumenti che Dio vorrà donarvi, i dottori e tutto lo staff dell’ospedale hanno bisogno della vostra fiducia. Fidatevi di chi pur avendo una grande professionalità resta uomo umile. Fidatevi di vostro figlio e poi ancora, chiedete a chi vi sta accanto di sostenervi con la preghiera. Fatevi accompagnare da un frate, un prete, una persona di Fede e di esperienza, che possa camminare con voi nella prova, le amicizie tra laici e consacrati sono un Dono prezioso, non ringrazieremo mai abbastanza il nostro amico e padre V. Voi ce la farete ad Amare il vostro bambino pienamente. Io non so se ci sarà una guarigione o no, ma quello che è importante è Stare occhi negli occhi. Amando. Dando Tutto ciò che possiamo. Vi voglio bene, non sapete quanto, e vi sono vicina. Prego per voi e per la vostra pace.

martedì 21 ottobre 2014

A CHI IMPORTA DAVVERO DEI MATRIMONI TRA OMOSESSUALI

Negli ultimi venti anni il numero dei matrimoni è diminuito in Italia del 40% (fonte dati Istat).

A fronte di una società composta da giovani che prevalentemente preferiscono andare a convivere piuttosto che sposarsi, con rito civile o religioso che sia, veniamo quotidianamente travolti da uno tsunami di richieste di omosessuali che vorrebbero sposarsi.

Da quando un rito, il matrimonio, sembra essere passato di moda, le associazioni gay non fanno altro che richiedere di poter usufruire di questa forma contrattuale. 

Mi sembra poi, ma forse sbaglio per poca conoscenza dell'argomento, che più che gli omosessuali stessi, siano i loro "tifosi" a reiterare ossessivamente la richiesta di riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso, fino a vedere Sindaci violare la Legge, cosa assai disdicevole per un primo cittadino che dovrebbe sempre dare l'esempio sul rispetto delle norme vigenti.

Insomma, mi sembra che tutto il polverone alzato quotidianamente sul tema, puzzi molto di ideologia e serva a distrarre l'attenzione dai problemi che seriamente preoccupano tutti, davvero tutti, i cittadini: la mancanza di lavoro, la crisi economica, l'eccessiva pressione fiscale, il degrado generale in cui versa il nostro Paese.

lunedì 20 ottobre 2014

BONUS BEBE'

E così il Presidente del Consiglio si è deciso a dare una mano alle famiglie.
Matteo Renzi ha infatti annunciato (annunciato, e lo sottolineo) che da gennaio le neo-mamme riceveranno 80 euro al mese per i primi tre anni di vita del bambino.

Verrebbe da fare qualche ironia sul fatto che il bonus sia sempre di 80 euro, quasi che questa cifra abbia per il nostro Primo Ministro un potere taumaturgico per tutti i mali dell'Italia.
Curioso è anche il fatto che abbia dichiarato che il bonus verrà dato alle mamme e non alla famiglia nella sua interezza. Si dirà che sono modi di dire ma dietro l'uso delle parole si nasconde sempre un modo di interpretare la realtà. Allora viene da domandarsi se per Renzi l'unica figura legata al figlio è quella della mamma, concetto che poi andrebbe coniugato con non poche difficoltà alla sua idea di consentire il matrimonio tra coppie omosessuali e permettere loro anche le adozioni.

Ma vogliamo prendere il buono del provvedimento: aiutare le famigliesotto il punto di vista economico nel sostentamento dei nuovi nati è una buona cosa.

Ma 80 euro al mese (960 all'anno) per tre anni sono tanti o pochi?


In Francia, tanto per fare qualche esempio di qualche altro Paese europeo, la nascita di un secondo figlio viene salutata con l’arrivo, a distanza di meno di un mese, di un assegno mensile da 124 euro. Bonus che, a partire dal 14esimo anno d’età di ogni figlio e fino al ventesimo, aumenta di altri 62 euro. 
Tutto ciò indipendentemente dal reddito: il 90% delle famiglie francesi può contare su un bonus bebè da 923 euro a partire dal settimo mese di gravidanza. 
Fino al terzo anno di vita del pargolo, inoltre, è previsto un ulteriore assegno di 186 euro. 
A conti fatti, una famiglia del ceto medio con due figli, uno neonato e l’altro all’asilo nido, percepisce dallo Stato quasi 7mila euro all’anno.

In Gran Bretagna, una famiglia del ceto medio con 2 bimbi percepisce un contributo mensile di 100 euro per il primo figlio e di 164 dal secondo in poi: totale 3.168 euro all’anno
Per i nuclei familiari con un reddito inferiore ai 32mila euro, inoltre, la Childcare tax credit garantisce un credito d’imposta a copertura parziale delle spese sostenute per la baby-sitter. 
Inoltre, nel Regno Unito esiste una rete di 30mila negozi che permettono alle mamme meno abbienti di acquistare latte, frutta, verdura e vitamine con un voucher. 

In Germania il bonus bebè raggiunge i 4.416 euro all’anno per chi ha 2 figli, con un importo mensile pari a 184 euro per ogni pargolo. 
Il welfare tedesco prevede inoltre un posto all’asilo nido di diritto per ogni famiglia, mentre chi preferisce accudire a casa i bambini riceve un assegno da 150 euro al mese.

Insomma, guardando appena oltre frontiera, si capisce che di strada da fare ne abbiamo ancora molta.


mercoledì 15 ottobre 2014

SOL, SERRAVALLE-AUSCHWITZ E RITORNO


La figlia Galia accompagna Sol
La figlia Galia accompagna Sol
Dopo l'incontro con Sol Cittone, sopravvissuta ad Auschwitz dopo essere stata arrestata nel mio comune, Serravalle Pistoiese, dentro di me si sono mescolati diversi sentimenti. Tante volte ho sentito raccontare storie sull'olocausto, tante trasmissioni ho avuto modo di seguire, ho visto con i miei occhi Auschwitz ma mai avevo parlato, stretto la mano e abbracciato qualcuno dei pochi che ebbero la fortuna di sopravvivere. Quando avviene qualcosa del genere è difficile riuscire a raccontarlo a chi non era presente. Sono sincero, non ci sarei riuscito. Per fortuna, il mio vecchio professore, Edoardo Bianchini, che insieme a Roberto Daghini è riuscito a rintracciare Sol Cittone, ha saputo spiegare, molto meglio di come avrei potuto fare io, quelle sensazioni che ti restano appiccicate addosso dopo un incontro tanto fuori dal comune. Per questo non trovo di meglio che pubblicare l'articolo uscito sul sito Linee Future (Sol sopravvissuta all'inferno) che, spero, possa interessarvi.


Proviamo a chiederle se di quei giorni bui e interminabili abbia qualche bel ricordo.
Ci pensa, Sol Cittone Miralles, giunta nel pomeriggio a Serravalle Pistoiese per ricordare e soprattutto far ricordare le persecuzioni antisemite operate dai fascisti e dai nazisti nel periodo della seconda guerra mondiale. Ci pensa bene, ma del campo di concentramento di Auschwitz, dove arrivò quindicenne, e degli altri lager dove purtroppo è stata ma da dove è miracolosamente riuscita a ritornare viva, anche se da sola e con nessuno dei sette componenti della sua famiglia, non riesce a ricordare davvero nulla, nulla che la faccia sorridere.
“I ricordi sono solo sofferenza – dice Sol in un italiano impacciato, ma comprensibilissimo, con qualche divagazione livornese, città dove è cresciuta, dopo essere nata ad Instanbul 85 anni fa –. Ci picchiavano continuamente, dalla mattina alla sera. E ci facevano mangiare poco, pochissimo. Ricordo quando ero su un carro a dividere e sbucciare patate: uno delle SS si avvicinò e mi cominciò a schiaffeggiare. Gli dissi di smettere e lui, dopo aver provato a tapparmi la bocca con le mani, mi sferrò un calcio in un gamba con quegli stivaloni invernali che avevano. Iniziai a sanguinare. Lui, a ridere”.
Ad accoglierla, oggi pomeriggio, davanti al Comune di Serravalle, un piccolo stuolo di persone, formato dal Sindaco e soprattutto da giornalisti. Curiosi non ce ne sono, nonostante il paese, a questo evento, sembrasse tenerci particolarmente. Sirio e Imperia, però, coetanei di Sol, non sono voluti mancare.
“Ho fatto con Sol la quinta elementare – racconta e ricorda Sirio Balleri, che di Serravalle è un’istituzione: ex assessore, ma soprattutto, fonte storica e bibliografica del paese –. Le aule erano all’ultimo piano del caseggiato dove abitava lei, quando arrivò qui come sfollata”.
Anche Imperia Leporatti la ricorda benissimo. E appena arrivata, l’abbraccia e la bacia, con gli occhi lucidi.
Nonostante l’età, il dolore che le ha trapassato indelebilmente la vita, Sol Cittone è un vulcano in piena. Nelle sue parole, nel timbro della sua voce e soprattutto nei suoi occhi però, non c’è rabbia, né voglia di vendetta.
Sirio Balleri e Imperia Leporatti, compagni di scuola di Sol
Sirio Balleri e Imperia Leporatti, compagni di scuola di Sol
Risponde a tutti quelli che le chiedono qualcosa, con la cortesia che l’interlocutore le ricordi a che punto è arrivata con il racconto. La memoria, ogni tanto, inizia a tradirla: con i nomi delle persone e delle città, con le date, con i numeri. Dell’olocausto però, ricorda tutto, perfettamente.
“Passammo cinque giorni in treno – continua Sol –. Ci portarono alla stazione dopo averci rinchiuso, come ebrei, nel carcere di Pistoia e in quello di Firenze (Le Murate – n.d.r.). A Pistoia fu il maresciallo Luigi Cellai ad interrogarci e a portarci in galera. In Germania arrivammo a mezzanotte. I tedeschi che ci pressarono sui vagoni ci dissero che se qualcuno, durante il viaggio, fosse scappato, gli altri avrebbero pagato al loro posto, con la fucilazione”.
“Passavano i giorni, nel campo di concentramento, e poco alla volta, noi donne, diminuivamo. Non sapevo dove venissero portate quelle che stavano con me, nelle stanze e che improvvisamente, sparivano. Una mattina capii perfettamente dove andassero le mie amiche del Lager: stavo malissimo e lo dissi alla Kapo, una tedesca che ci trattava malissimo. Mi misurò la febbre: avevo al temperatura a 40. Mi portò in un altro stanzone, dove c’erano un sacco di altre donne in fila, tutte malandate come me. Ero stata portata alle camere a gas. Arrivò un ufficiale: era il dottor Mengele. Mi chiese come stessi e io, nonostante tremassi come una foglia, gli risposi che stavo bene. Fu la mia salvezza: ero ancora utilizzabile, potevo servire ancora a qualcosa, non ero da gettare. Mi rispedì in un altro stanzone, dove per giorni e giorni lavorai per confezionare munizioni: polvere da sparo incapsulata in piccoli astucci d’acciaio. Erano le pallottole”.
Ognuno, tra i colleghi presenti, è curioso di sapere, notes alla mano, qualcosa di particolare. Sol, risponde a tutti, guardando ognuno negli occhi. La figlia, Galia, che la ha accompagnata da Haifa, dove vivono, le porta un bicchiere d’acqua. Da quando è scesa dalla macchina che la ha accompagnata, non ha ancora smesso di parlare un solo attimo.
“Ci marchiarono per contarci – dice Sol, scoprendosi l’avambraccio –. 75671, questo era il mio numero”. È sbiadito, quel tatuaggio, ma è ancora leggibilissimo.
La pioggia, battente, ha dato un po’ di tregua. Il Sindaco e un paio di assessori presenti alla cerimonia desiderano portare Sol a farle rivedere la casa dove trascorse un po’ di tempo prima di essere deportata.
Sol mostra il suo numero tatuato sul braccio
Sol mostra il suo numero tatuato sul braccio
Sol si incammina, ma le dicono che la visita la faranno in macchina.
A camminare è abituata, Sol. Quando i tedeschi cominciarono a fiutare l’odore della sconfitta, tutti i deportati sopravvissuti alle camere a gas e ai forni crematori furono sottoposti alle marce della morte.
“Camminammo – racconta ancora –, interrompendo la marcia solo per riprendere fiato, per 4 giorni consecutivamente. Molti, durante l’ultima tortura, morirono per strada. Io e una ragazza, di cui non ricordo il nome, riuscimmo a sopravvivere, grazie anche ad una scatola di sardine. Un ufficiale tedesco ci dette anche una baguette. Poi, dopo un po’, arrivammo nei paraggi di un ospedale e lì incrociammo le truppe sovietiche. L’incubo era finito”.
Sono passati quasi settant’anni, da allora. Sol Cittone Miralles è ancora viva ed ha ancora la forza per ricordare e raccontare.
Bisognerebbe ascoltarla bene, Sol. Soprattutto noi che non abbiamo visto e che certe atrocità non possiamo neanche riuscire a immaginarle.
Luigi Scardigli

CON IL SOLE CHE FA CAPOLINO

Galia, Edoardo Bianchini, Sol Cittone e Dana Biro a Villa Parri
Galia, Edoardo Bianchini, Sol Cittone e Dana Biro a Villa Parri
LA MAGGIOR PARTE della nostra vita passa in mezzo a giorni grevi e lentissimi.
A volte, però, improvvisamente il cielo si apre e dalle nuvole esce il sole, come a me è capitato oggi che ho conosciuto personalmente una donna sopravvissuta ad Auschwitz: Sol Cittone.
Con la mia cara allieva Dana Biro, la giovane israeliana che è riuscita a rintracciare Sol ad Haifa, siamo saliti a Villa Parri, a Pistoia, e mentre il cielo si apriva davvero e il sole spuntava, ci siamo trovati a tu per tu, a parlare – in tre lingue: italiano, ebraico e inglese – con quella Sol che, settanta anni fa, fu arrestata con i suoi, scaraventata per quattro giorni in prigione a Pistoia e poi trascinata a Firenze e a Fossoli e da lì, in  cinque giorni indicibili di viaggio, fatta scendere ad Auschwitz.
Ad Auschwitz sono stato cinque volte. Sempre commosso e spaventato da quello che gli uomini sono capaci di fare agli uomini. Ma l’incontro diretto con Sol, con quella bimba di 15 anni che fu strappata da qua e gettata nell’inferno dell’anus mundi, come diceva Primo Levi, mi ha colpito oltre ogni umano pensare.
Vedere è sempre un’emozione che non ha uguali. Vedere e ascoltare lo è ancor di più.
Sol mi parlava e mi raccontava la sua storia per frammenti. Poi mi ha fatto vedere il numero sul suo braccio. Ed è molto diverso che vederlo in televisione o in un filmato.
Con la mia allieva Dana e con le persone della famiglia di Sol, per prima Galia, la figlia straordinariamente energica e vitale, oggi abbiamo condiviso un’esperienza di vita di quelle che alleggeriscono l’esistenza anche se attraverso il dolore: un dolore che non può essere percepito tutto, interamente, come fu, ma che, sublimato dalla distanza del tempo e dalla serenità di Sol, rende improvvisamente saggi, alleggerisce la nostra grevità di poveri esseri pieni di superbia, e ci lascia dentro solo una voglia di piangere che sa di grandezza e di disperazione, di tragedia e di gioia.
La gioia di aver toccato un testimone e di poterne conservare e trasmettere la memoria.
Edoardo Bianchini

martedì 7 ottobre 2014

NON C'E' POSTO ALLE POSTE


Al Sindaco di Serravalle Pistoiese


OGGETTO: interrogazione


L'ufficio postale di Casalguidi, punto di riferimento per tutti gli abitanti di Casalguidi e Cantagrillo oltre che per le aziende che operano nel nostro territorio, appare da tempo completamente inadeguato rispetto alle esigenze.

Nonostante il personale quotidianamente si adoperi con grande dedizione e disponibilità, le code che si formano sono molto lunghe e prevedono tempi di attesa tali da creare grave disagio soprattutto alla popolazione anziana.

L'ambiente piccolo e la scarse possibilità di stare seduti causano senza dubbi momenti di enorme difficoltà.
Talvolta accade che la coda si sviluppi anche all'esterno della struttura, ormai veramente troppo angusta per accogliere tutti gli utenti che ad essa si rivolgono.

La situazione si è aggravata negli ultimi anni, da quando le Poste hanno ampliato i propri servizi, inserendo attività tipiche del settore bancario. A fronte di una maggiore offerta Poste Italiane non ha pensato di adeguare la struttura sia da un punto di vista logistico che organizzativo.

In particolar modo però le cose sono ulteriormente peggiorate con la chiusura, avvenuta a metà settembre, dell'ufficio postale di Santonuovo, ufficio destinato solo alla “clientela business”, quindi alle imprese che, da allora, si sono rivolte in gran parte all'ufficio di Casalguidi.


Ovviamente l'Amministrazione comunale non ha alcuna competenze né responsabilità su quanto avviene ma ritengo che ci si debba far carico del disagio dei nostri cittadini per intervenire presso Poste Italiane affinchè venga individuata una soluzione attraverso una nuova organizzazione degli orari e, perchè no, della sede.

Certo che vorrà attivarsi in tal senso, attendo la sua risposta.

Cordiali saluti.


                                                                              Federico Gorbi
                                                    Capogruppo “Serravalle Popolari e Riformisti”

giovedì 2 ottobre 2014

LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE

Nel 1969, presso l'Università di Stanford (USA), il professor Philip Zimbardo ha condotto un esperimento di psicologia sociale. 
Lasciò due auto abbandonate in strada, due automobili identiche, la stessa marca, modello e colore. Una  nel Bronx, quindi una zona povera e conflittuale di New York ; l'altra a Palo Alto, una zona ricca e tranquilla della California. 
Due identiche auto abbandonate, due quartieri con popolazioni molto diverse e un team di specialisti in psicologia sociale, a studiare il comportamento delle persone in ciascun sito.
Si è scoperto che l'automobile abbandonata nel Bronx ha cominciato ad essere smantellata in poche ore. Ha perso le ruote, il motore, la radio, ecc. 
Tutti i materiali che potevano essere utilizzati sono stati presi, e quelli non utilizzabili sono stati distrutti. 

Dall’altra parte , l'automobile abbandonata a Palo Alto, è rimasta intatta.

È comune attribuire le cause del crimine alla povertà. 
Attribuzione nella quale si trovano d’accordo le ideologie più conservatrici (destra e sinistra). Tuttavia, l'esperimento in questione non finì lì: quando la vettura abbandonata nel Bronx fu demolita e quella a Palo Alto dopo una settimana era ancora illesa, i ricercatori decisero di rompere un vetro della vettura a Palo Alto, California. 

Il risultato fu che scoppiò lo stesso processo, come nel Bronx di New York : furto, violenza e vandalismo ridussero il veicolo nello stesso stato come era accaduto nel Bronx.

Perchè il vetro rotto in una macchina abbandonata in un quartiere presumibilmente sicuro è in grado di provocare un processo criminale?
Non è la povertà, ovviamente ma qualcosa che ha a che fare con la psicologia, col comportamento umano e con le relazioni sociali.

Un vetro rotto in un'auto abbandonata trasmette un senso di deterioramento, di disinteresse, di non curanza, sensazioni di rottura dei codici di convivenza, di assenza di norme, di regole, che tutto è inutile. 
Ogni nuovo attacco subito dall'auto ribadisce e moltiplica quell'idea, fino all'escalation di atti, sempre peggiori, incontrollabili, col risultato finale di una violenza irrazionale.

In esperimenti successivi James Q. Wilson e George Kelling hanno sviluppato la teoria delle finestre rotte, con la stessa conclusione da un punto di vista criminologico, che la criminalità è più alta nelle aree dove l'incuria, la sporcizia, il disordine e l'abuso sono più alti.

Se si rompe un vetro in una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. 
Se una comunità presenta segni di deterioramento e questo è qualcosa che sembra non interessare  a nessuno, allora lì si genererà la criminalità. 
Se sono tollerati piccoli reati come parcheggio in luogo vietato, superamento del limite di velocità o passare col semaforo rosso, se questi piccoli “difetti” o errori non sono puniti, si svilupperanno “difetti maggiori” e poi i crimini più gravi.
Se parchi e altri spazi pubblici sono gradualmente danneggiati e nessuno interviene, questi luoghi saranno abbandonati dalla maggior parte delle persone (che smettono di uscire dalle loro case per paura) e questi stessi spazi lasciati dalla comunità, saranno progressivamente occupati dai criminali.

Gli studiosi hanno risposto in una forma più forte ancora, dichiarando che l’incuria ed il disordine accrescono molti mali sociali e contribuiscono a far degenerare l'ambiente.

A casa, tanto per fare un esempio, se il capofamiglia lascia degradare progressivamente la  sua casa, come la mancanza di tinteggiature alle pareti, cattive abitudini di pulizia, proliferazioni di cattive abitudine alimentari, utilizzo di parolacce, mancanza di rispetto tra i membri della famiglia, ecc, ecc, ecc. poi, gradualmente,  cadranno anche la qualità dei rapporti interpersonali tra i membri della famiglia ed inizieranno a crearsi cattivi rapporti con la società in generale. 

Questa teoria delle finestre rotte può essere un'ipotesi valida a comprendere la degradazione della società e la mancanza di attaccamento ai valori universali, la mancanza di rispetto per l'altro e per le  autorità e la corruzione  a tutti i livelli. La mancanza di istruzione e di formazione della cultura sociale, la mancanza di opportunità, generano un paese con finestre rotte, con tante finestre rotte e nessuno sembra disposto a ripararle.

La “teoria delle finestre rotte” è stata applicata per la prima volta alla metà degli anni ottanta nella metropolitana di New York City, che era divenuto il punto più pericoloso della città. 
Si cominciò combattendo le piccole trasgressioni: graffiti che deterioravano il posto, lo sporco dalle stazioni, ubriachezza tra il pubblico, evasione del pagamento del biglietto, piccoli furti e disturbi. I risultati sono stati evidenti: a partire della correzione delle piccole trasgressioni si è riusciti a fare della Metro un luogo sicuro.
Successivamente, nel 1994, Rudolph Giuliani, sindaco di New York, basandosi sulla teoria delle finestre rotte e l'esperienza della metropolitana, ha promosso una politica di tolleranza zero. La strategia era quella di creare comunità pulite ed ordinate, non permettendo violazioni alle leggi e agli standard della convivenza sociale e civile. Il risultato pratico è stato un enorme abbattimento di tutti i tassi di criminalità a New York City.

La frase “tolleranza zero” suona come una sorta di soluzione autoritaria e repressiva, ma il concetto principale è più prevenzione e promozione di condizioni sociali di sicurezza. 
Non è questione di  violenza ai trasgressori, né manifestazione di arroganza da parte della polizia.
Infatti, anche in materia di abuso di autorità, dovrebbe valere la tolleranza zero. Non è tolleranza zero nei confronti della persona cher commette il reato, ma è tolleranza zero di fronte al reato stesso.

L’idea è di creare delle comunità pulite, ordinate, rispettose della legge e delle regole che sono alla base della convivenza  umana.

È bene tornare a leggere questa teoria.