sabato 20 novembre 2010

Fine aMara

La gestione di un affare da oltre 150 milioni di euro che rischia di passare di mano. I ras berlusconiani in Campania, Nicola Cosentino e Mario Landolfi (entrambi sotto inchiesta), che si precipitano a Palazzo Grazioli. Il presidente del Consiglio che cede al pressing, promette di rivedere, correggere, smussare il decreto legge varato solo poche ore prima dal governo. È a quel punto, solo allora, che il ministro Mara Carfagna - sponsor del commissariamento che sanciva l'affidamento alla Regione della realizzazione dei tre termovalorizzatori di Napoli e Salerno - decide di gettare la spugna. Si sente tradita, raggirata, abbandonata in questa che è una storia di appalti pubblici e di cordate politiche in guerra. Di impegni siglati e del rischio di infiltrazioni camorristiche nella terra in cui la monnezza, prima ancora che un'emergenza, è un business.
Berlusconi la chiama appena atterrato a Lisbona.
Sono lontani i buoni rapporti di un tempo: "Devi spiegarmi cosa è successo - lei lo incalza - Sono mesi che quella banda mi attacca, non puoi lasciare l'intera gestione dell'emergenza nelle mani di Cosentino e dei suoi uomini". Lui si impegna a trovare una soluzione. Ma stavolta sembra che non basti. Resta la delusione di fondo che il ministro confiderà poco dopo ai collaboratori: "Non voglio più stare vicino a certi affaristi. Starò col presidente in questo momento di bisogno. Ma dopo il 14 mi sentirò libera. Nel Pdl ormai comandano i Cosentino, i Verdini, i La Russa, dimenticano che ho avuto 58 mila voti sei mesi fa". Parla fitto col finiano Bocchino, alla Camera, nelle ore in cui si consuma lo strappo. Gli avversari interni l'accusano di intelligence col nemico. Un transito a Fli e magari una candidatura shock a sindaco di Napoli in rotta col coordinatore pdl Cosentino, sono per ora solo ipotesi vaghe che la Carfagna smentisce.

Il fatto è che ancora una volta il gruppo di potere che nella sua regione fa capo all'ex sottosegretario, dimessosi dopo la richiesta di arresto per concorso in associazione camorristica, riesce a convincere, persuadere, condizionare il premier. Eppure, il decreto per lo smaltimento rifiuti approvato in Consiglio dei ministri stabiliva che il pallino nella costruzione dei costosissimi termovalorizzatori passasse dai due presidenti di Provincia Edmondo Cirielli e Luigi Cesaro (uomini di Cosentino) al governatore Stefano Caldoro (pdl ma suo avversario). Già in Consiglio dei ministri La Russa aveva invitato la Carfagna a non incaponirsi "per ragioni personali", a non insistere "per beghe locali" sul commissariamento. E invece la ministra ha insistito e l'ha spuntata.
Poi la retromarcia del premier. "Avevo proposto questa soluzione per mettere a riparo l'operazione da affari sporchi - si sfogava lei ieri con alcuni deputati in Transatlantico - Ma questo è ormai il partito dei Verdini, dei Cosentino e dei La Russa". Il clima ostile maturava da giorni. Gli attacchi personali si moltiplicavano. Le interviste di Sallusti e di Stracquadanio, la allusioni sui rapporti con Bocchino, le foto, gli insulti e i "vergogna" alla Camera. Il sospetto latente che una "macchina del fango" si stesse muovendo anche contro di lei.
Sta di fatto che subito dopo il Consiglio dei ministri, giovedì, i deputati che fanno capo a Cosentino, gli stessi presidenti delle Province di Salerno, Cirielli, e di Napoli, Cesaro (sotto inchiesta a Napoli), e poi Landolfi e Laboccetta e Castiello danno tutti segni di nervosismo. Disertano alcune votazioni in aula. Fanno sapere a Berlusconi di essere pronti a passare al gruppo misto se quel decreto non verrà modificato: facendo così saltare la Finanziaria e mettendo ulteriormente a rischio la fiducia del 14 dicembre. Cosentino piomba a Palazzo Grazioli, accompagnato da Landolfi. C'è anche Gianni Letta in stanza col premier. Subito dopo l'incontro, il coordinatore Pdl in Campania va a Montecitorio e dà notizia del "successo" ai suoi, riportata dalle agenzie di stampa: "Sono molto soddisfatto, Berlusconi mi ha dato garanzie sulle competenze e sulla corresponsabilità degli impianti tra Province e Regione. La quadra trovata permetterà di accelerare la costruzione degli impianti".

L'affare può partire, insomma, e sarà soggetto alla sovrintendenza anche delle Province, dunque della potente corrente Cosentino. Ad oggi, in Campania c'è un solo termovalorizzatore, quello di Acerra, che funziona solo in parte, e che è già costato 25 milioni. Altri 75 milioni di euro sono stati investiti per la realizzazione di quello di Salerno. Altrettanti se ne prevedono per Napoli. Il terzo impianto non si sa ancora dove realizzarlo.

da Repubblica.it

mercoledì 17 novembre 2010

SOLITUDINE DI UN LEADER

In questo piovoso autunno italiano non sta finendo solo una maggioranza o un governo: si sta concludendo l’avventura di un uomo solo. È la solitudine di Berlusconi il dato che oggi più colpisce. E se l’uomo ha mischiato e confuso come pochi altri il pubblico e il privato, la sua solitudine pure è un fatto politico e insieme personale, dove non sai quale delle due cose è stata ed è causa dell’altra.

Le serate di Arcore e di Palazzo Grazioli sono l’immagine di una solitudine esistenziale disperata e agghiacciante, anche se nascosta dai fasti di una miliardaria satrapia. Oggi ci è chiaro: era un moderno Macbeth assediato dalla foresta di Birnam sempre più vicina, quello che si rinserrava ogni sera nelle mille stanze dei suoi mille castelli in compagnia di docili comparse. Ma non aveva mai voglia quest’uomo — ci chiediamo noi uomini normali — di scambiare quattro chiacchiere con un amico vero, con una persona normale?

È tuttavia la solitudine politica quella che impressiona maggiormente: la solitudine politica che il premier ha costruito giorno per giorno intorno a sé, imitato da troppi suoi collaboratori. L’avventura berlusconiana, partita all’inizio con un cospicuo capitale di attese e di fiducia (perfino da parte di molti nemici) si è progressivamente chiusa in se stessa, ha tagliato i ponti con tutti i settori significativi della società, ha stupidamente decretato avversione e ostracismo ad un numero sempre crescente di persone: in pratica tutte quelle della cui fedeltà ed obbedienza pronta, cieca e assoluta, non si fosse arcisicuri.

In questo modo, forse senza neppure accorgersene, gli uomini e le donne del premier, la sua classe di governo, il suo milieu, sono diventati ben presto una sorta di esercito accampato in territorio nemico, con la stessa psicologia e la mentalità degli assediati. Si dà il caso però che quel territorio fosse il loro Paese. «O con noi o contro di noi» è divenuta la parola d’ordine suicida sempre più spesso pronunciata, di cui com’era logico, hanno finito per trarre vantaggio solo gli avversari. Consigli arrogantemente respinti, suggerimenti finiti nel nulla, proposte liquidate con un’alzata di spalle sono state sempre di più la regola: allontanando sistematicamente le intelligenze che pure sarebbero state disponibili a rendersi utili. La parabola di un uomo come Giuliano Ferrara parla da sola.

Il berlusconismo avrebbe potuto facilmente — e magari anche abusivamente, se si vuole—intitolare a se stesso tutto ciò che in Italia non era di sinistra. Non solo non ha voluto o saputo farlo. Ha fatto il contrario: ha regalato alla sinistra tutto ciò che sentiva o sapeva non essere intrinsecamente suo. Estraneo fin dalle origini alla socialità politica di gruppo in quanto nato dalla felice intuizione di un uomo solo, di un capo, invece di correggere tale vocazione primigenia alla solitudine e all’obbedienza gerarchica, è andato esasperandola. Sempre più sono rimasti il capo soltanto e soltanto coloro che gli obbedivano. Certo, è rimasto sempre chi obbediva pur conservando qualche luce d’ingegno e di autonomia personale, ma le file dei puri e semplici profittatori e dei camerieri sono andate crescendo a dismisura, sono diventate un esercito, e dopo non molto tempo tutta la scena ha finito per essere occupata solo da costoro.

Una turba di mezze calzette, di villan rifatti, di incompetenti, di procacciatori: la solitudine sociale del berlusconismo si è andata sempre più incarnando in questa schiera compiacente e zelante, pronta ad ogni servilismo per il proprio personale interesse. Sono stati essi i principali artefici della muraglia invalicabile costruita intorno al potere del capo. Da essi il capo è apparso inspiegabilmente sempre più dipendere. Da essi trarre i consigli che di sconfitta in sconfitta, di fallimento in fallimento, lo stanno portando ineluttabilmente alla fine.

Più che vinto dalle inesistenti vittorie dei suoi nemici, il berlusconismo oggi crolla vittima di una sorta di autoreclusione si direbbe quasi studiata con intenzione, compiaciutamente suicida. E sempre più quello che fu per antonomasia «un uomo solo al comando» ormai appare niente altro che un uomo solo e basta. Che forse neppure si rende conto ancora di esserlo.

Ernesto Galli Della Loggia
Corriere della Sera