venerdì 26 marzo 2010

VOTO UTILE

Domenica si vota e come ogni volta risuonano appelli al "voto utile".
Esiste in Toscana la possibilità di un "voto utile". Utile per chi o per cosa?

Ciò che è utile porta un vantaggio: in questo caso dovremmo dare il voto a chi può governare bene, quindi ci procura un vantaggio che deriva da una buona amministrazione della cosa pubblica. Il candidato del Pd, Enrico Rossi, è stato fino ad oggi assessore alla sanità della giunta Martini, quindi il "gestore" di quasi tre quarti dell'intero bilancio della Regione Toscana. Un buon banco di prova per capire come potrebbe muoversi nei prossimi cinque anni.
I cittadini, sostenendo Rossi, potranno quindi esprimere con il voto una valutazione su quanto è stato fatto negli ultimi anni per la sanità e un giudizio di fiducia per quanto potrà essere fatto in generale. Chi ritiene che Rossi, e chi governava con lui, abbia fatto bene dovrà necessariamente sostenerlo con il proprio voto.

La candidata del Pdl, Monica Faenzi, è parlamentare e sindaco di Castiglion della Pescaia, nota per essersi arrabbiata con Prodi quando l'allora premier, durante un soggiorno estivo, dimenticò di porgere il saluto a lei, primo cittadino della località balneare.
Non può essere giudicata per quanto fatto in passato in Regione perché non c'era ma certo possono essere giudicati i consiglieri uscenti del Pdl che avrebbero dovuto rappresentare l'alternativa al Presidente Martini, a Rossi e alla maggioranza di sinistra.
Dico avrebbero perché di opposizione in questi anni se n'è vista pochina, per non parlare dei palesi "inciuci" che hanno generato una legge elettorale tanto squallida quanto comoda a Pd e Pdl.
In più resta il fatto che dalle intercettazioni relative alle inchieste sugli appalti dei grandi eventi emerge che il coordinatore nazionale del Pdl, Denis Verdini, fiorentino e Deus ex machina del Pdl toscano, aveva a cuore l'edificazione di molte cose ma non la costruzione di un'alternativa politica in Toscana.
Probabilmente nulla di penalmente rilevante, ma quando il "capo" del maggior parito di opposizione invita gli imprenditori locali a stare con in Pd qualcosa non torna.

Chi non condivide dunque la ditta Pd "Martini & Rossi" non trova una vera alternativa nel Pdl che ha retto il sacco per tutti questi anni.

Non resta che un voto di protesta, un voto che segnali questa anomalia toscana, un voto che scuota il sistema facendo cadere i frutti marci che rischiano di far ammalare tutta la pianta, un voto che porti aria fresca e pulita nelle stanze della Regione: un voto all'Udc.

Un voto di protesta certo, ma anche di proposta, perché è facendo crescere una vera alternativa che si danno speranze ai cittadini che non saranno più mandria di elettori alla quale i partiti si rivolgono solo per chiedere voti ma protagonisti nelle scelte di governo della nostra regione.

Domenica prossima quindi, prima di mettere un segno sulla scheda elettorale, è bene che gli elettori ricordino che l'Udc è l'unico partito che in questi anni si è opposto all'asfissiante monopolio politico della sinistra ma anche ai troppo inganni del Pdl.

Buon voto.

martedì 23 marzo 2010

LA FAENZI E L'ABORTO

Ancora una volta i vescovi italiani – attraverso il cardinale Angelo Bagnasco – hanno fatto sentire la loro voce sul dramma dell’aborto, chiedendo ai cattolici di non sostenere i candidati favorevoli all'interruzione della gravidanza. Un dramma che si tenta di rendere "invisibile" anche in Toscana, regione nella quale l'assessore alla sanità Enrico Rossi, oggi candidato a Presidente, ha sempre sostenuto la diffusione della pillola abortiva. A Rossi tuttavia non si può certo imputare una mancanza di chiarezza sull'argomento.
Ma qual'è la posizione del Pdl? I vertici nazionali all'indomani dell'appello dei vescovi si sono tutti affannati a dichiararsi a favore della vita, salvo rare eccezioni come quella di Daniele Capezzone che questa volta non ha assolto alla sua funzione di "portavoce" ufficiale del Pdl ma ha preferito osservare un eloquente silenzio.
Molto più interessante è però il caso della candidata toscana Monica Faenzi che, interrogata sull'argomento anche da alcune tv locali, ha dichiarato di essere assolutamente favorevole all'aborto. Non solo, l'unico punto di contatto con il candidato governatore del Pd Enrico Rossi, sarebbe proprio il via libera alla pillola abortiva.
Tuttavia, appena due giorni prima, la stessa Faenzi aveva sottoscritto, insieme al candidato dell'Udc Francesco Bosi, un "Patto per la vita e la famiglia" proposto dall'Associazione Scienza & Vita di Pontremoli e della Lunigiana. Nel documento, pubblicato sul sito dell'associazione, la candidata del Pdl dichiara il proprio impegno "ad operare in favore della vita, e per quanto sarà di mia competenza, a far si che l'aborto non sia usato ai fini della limitazione delle nascite".
Insomma, forse presa da uno slancio di generosità durante uno dei tour elettorali, ha dichiarato cose che non pensa ad una associazione locale, contando forse nella scarsa diffusione della notizia.
I piani però sono saltati, un po' per l'appello dei vescovi e un po' perché, nella globalizzazione dell'informazione, è difficile sfuggire alla rete di internet che riporta praticamente ogni parola pronunciata dai candidati.
L'aspetto grave della vicenda non è il pensiero della Faenzi sull'aborto. I vescovi hanno diritto a rivolgere gli appelli ai fedeli e la rappresentante del Pdl è libera di pensarla come preferisce e di seguire o meno le parole dei rappresentanti di una fede che, per sua stessa ammissione, non le appartiene.
L'aspetto che dovrebbe far riflettere gli elettori è quale credibilità possa avere chi una sera afferma una cosa e la sera successiva sostiene il suo esatto contrario.
A questo punto concordo con il suo slogan: il coraggio di cambiare. Cambiare sì, ma lei cambia... idea ogni giorno.

martedì 16 marzo 2010

TUTTI IN PIAZZA

Sabato scorso è toccato alla sinistra, dal Pd a Di Pietro ai Radicali, la novità del popolo viola, un po' di Cgil, che non guasta mai, qualche bandiera con falce e martello che, dopo un paio d'anni lasciata a prendere polvere, torna a sventolare in piazza. Tutti insieme per dire cosa? Che Berlusconi è un pericolo per la democrazia, e per questo si è circondato di un manipolo di "fascistelli picchiatori", che il Cavaliere legifera solo a proprio vantaggio, che ha ucciso la libertà di stampa, che rappresenta gli interessi della mafia...
Insomma nulla di nuovo rispetto a quanto sentito negli ultimi quindici anni, come se il tempo si fosse fermato, come se, nel frattempo, il Paese non fosse andato avanti, o indietro.

Sabato prossimo toccherà al Pdl, popolo e non partito della libertà, proprio per ricordare che un partito non esiste e non deve esistere perchè c'è solo un leader indiscusso ed indiscutibile che parla direttamente al suo popolo, senza bisogno di inutili apparati, quegli inutili apparati che però ti permettono di raccogliere le firme e di presentare le liste rispettando le regole.
Dal palco il Re Sole della politica italiana (Re Sole perchè da quindici anni, che governi o che sia opposizione, è sempre lui il protagonista, dall'alba al tramonto) parlerà al suo popolo, che sarà accorso a Roma più numeroso del popolo di sinistra (anche perchè i pullman li paga proprio lui, il generoso Presidente e "meno male che Silvio c'è") e dirà che lui, poverino, è odiato dai magistrati comunisti che cominciano a perseguitarlo subito dopo aver fatto colazione mangiando un paio di bambini, che lo intercettano e lo spiano anche quando è in compagnia di bravissime e giovani ragazze che passano le serate con lui solo perchè è simpatico e canta le canzoni di Apicella. E poi dirà che queste elezioni regionali saranno importanti perchè gli elettori dovranno scegliere tra un'Italia che lavora e un'Italia che campa di sussidi perchè non ha voglia di fare nulla, tra la politica del fare e la politica delle chiacchiere, tra il partito dell'amore e il partito dell'odio. Insomma, anche nelle parole del Cavaliere nulla di nuovo rispetto ai discorsi ed ai concetti espressi negli ultimi quindici anni, anche lui convinto che il Paese non sia andato avanti, o indietro.

Eppure qualcosa dovrebbe pur essere cambiato in quindici anni.
Abbiamo ridotto il nostro debito pubblico? Abbiamo migliorato le nostre infrastrutture? Le nostre industrie, le nostre aziende sono più competitive sui mercati internazionali? Abbiamo ridotto la disoccupazione? La nostra scuola, il nostro sistema della formazione, prepara meglio i nostri giovani? Il sistema sanitario assicura una qualità della vita migliore?

Credo basti riprendere un unico e semplice dato dal Bollettino Statistico della Banca d'Italia che ci ricorda che il reddito familiare annuo, al netto delle imposte e dei contributi previdenziali e assistenziali, nel 1995 era pari a circa 1.859 euro al mese (3,6 milioni di lire) mentre nel 2008 (ultimo anno disponibile e, quindi, dopo la crisi, potrebbe risultare un dato molto peggiore) è risultato essere circa 2.679 euro al mese.

Appena 820 euro in più a famiglia in tredici anni (+44%), senza dimenticare che si è ampliata la forbice tra le famiglie con alti redditi (sempre meno) e le altre (sempre più).
Contemporaneamente, solo per fare un semplice paragone, la benzina verde, e in modo simile tutta la nostra bolletta energetica, è passata da 0,887 euro al litro del 1995 a 1,394 euro del 2008 (+57%).
Allora qualcosa sarà cambiato? Se le famiglie italiane sono sempre più indebitate, se le code ai centri della Caritas sono sempre più lunghe, se tanti quarantenni perdono il posto di lavoro e non sanno dove andare a sbattere la testa, se i nostri giovani laureati vanno a lavorare all'estero qualcosa vorrà pure dire?
Ma di queste cose chi ne parla in un Paese drogato dalle televisioni che ci parlano delle veline di Berlusconi e dei trans di Marrazzo, di Bertolaso, e i suoi massaggi, e di Travaglio, che passa per giornalista imbavagliato ma, fino ad oggi, ha scritto più di 20.000 (ventimila) articoli e trenta libri (due all'anno)?
Sarebbe l'ora di tornare alla serietà.

lunedì 8 marzo 2010

I VESCOVI IN VISTA DELLE ELEZIONI

Propongo la lettura di questo interessante documento dei Vescovi dell'Emilia Romagna in vista delle elezioni regionali che può facilmente essere esteso a tutto il nostro Paese


Gli Arcivescovi e Vescovi della regione Emilia-Romagna desiderano indirizzare ai fedeli delle loro comunità questa comunicazione, in vista delle elezioni regionali del prossimo mese di marzo.
1. Come Vescovi, la nostra prima inderogabile missione è di annunciare il Vangelo proponendo ad
ogni uomo la via della fede, come via della libertà, come via della responsabilità e della salvezza. Ma il Vangelo che dobbiamo annunciare contiene anche una precisa concezione dell'uomo e di tutta la sua realtà, personale e sociale, che risponde in modo adeguato alle fondamentali esigenze della sua persona.
È questa concezione il nucleo portante della Dottrina Sociale che la Chiesa ha sempre proclamato e testimoniato, e che l'attuale pontefice Benedetto XVI ha mirabilmente sintetizzato nell'espressione «valori non negoziabili».
2. Essi costituiscono patrimonio di ogni persona, perché inscritti nella coscienza morale di ciascuno. A questi valori anche ogni cristiano deve riferirsi come criterio ineludibile per i suoi giudizi e le sue scelte nell'ordine temporale e sociale.
Eccoli sinteticamente: la dignità della persona umana, costituita ad immagine e somiglianza di Dio, e perciò irriducibile a qualsiasi condizione e condizionamento di carattere personale e sociale; la sacralità della vita dal concepimento fino alla morte naturale, inviolabile ed indisponibile a tutte le strutture ed a tutti i poteri; i diritti e le libertà fondamentali della persona: la libertà religiosa, la libertà della cultura e dell'educazione; la sacralità della famiglia naturale, fondata sul matrimonio, sulla legittima unione cioè fra un uomo e una donna, responsabilmente aperta alla paternità e alla maternità; la libertà di intrapresa culturale, sociale, e anche economica in funzione del bene della persona e del bene comune; il diritto ad un lavoro dignitoso e giustamente retribuito, come espressione sintetica della persona umana; l'accoglienza ai migranti nel rispetto della dignità della loro persona e delle esigenze del bene comune; lo sviluppo della giustizia e la promozione della pace; il rispetto del creato.
3. È questo complesso di beni che costituisce l'orizzonte immutabile di ogni giudizio e di ogni impegno cristiano nella società. Persone, raggruppamenti partitici e programmi devono pertanto essere valutati a partire dalla verifica obiettiva del rispetto di quei beni.
Perciò la coscienza cristiana rettamente formata non permette di favorire col proprio voto l'attuazione di un programma politico o la promulgazione di leggi che non siano coerenti coi valori sopraddetti, esprimendo questi le fondamentali esigenze della dignità umana.
4. Siamo consapevoli di avere proposto ai nostri fedeli non solo orientamenti doverosi per l'oggi, ma anche un costante cammino educativo, mediante cui l'assimilazione dei valori della Dottrina Sociale della Chiesa porta a giudizi e a scelte responsabili e coerenti, sottratte ai ricatti dei poteri ideologici e mass-mediatici o avvilite da interessi particolaristici.
Vorremmo che crescesse, anche in forza di un rinnovato e quotidiano impegno educativo delle nostre Chiese, un laicato che proprio a causa della sua appartenenza ecclesiale, fosse dedito al bene comune della società.
5. La Chiesa non deve prendere «nelle sue mani la battaglia politica» [cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est, 28]. Pertanto clero ed organismi ecclesiali devono rimanere completamente fuori dal dibattito e dall'impegno politico pre-elettorale, mantenendosi assolutamente estranei a qualsiasi partito o schieramento politico. Per i sacerdoti questa esigenza è fondata sulla natura stessa del loro ministero (cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei Presbiteri 33, cpv.1°: EV 14/798).
6. Ma è un diritto dei fedeli essere illuminati dai propri pastori quando devono prendere decisioni
importanti. Se un fedele chiedesse al sacerdote come orientarsi nella situazione attuale, il sacerdote tenga presente quanto segue.
Ogni elettore è chiamato ad elaborare un giudizio prudenziale che per definizione non è mai dotato di certezza incontrovertibile. Ma un giudizio è prudente quando è elaborato alla luce sia dei valori (cfr. § 2) umani fondamentali che sono concretamente in questione sia delle circostanze rilevanti in cui siamo chiamati ad agire.
Ciò premesso in linea generale, ogni elettore che voglia prendere una decisione prudente, deve discernere nell'attuale situazione quali valori umani fondamentali sono in questione, e giudicare quale parte politica - per i programmi che dichiara e per i candidati che indica per attuarli - dia maggiore affidamento per la loro difesa e promozione.
L'aiuto che i sacerdoti devono dare quindi consiste nell'illuminare il fedele perché individui quei valori umani fondamentali che oggi in Regione meritano di essere preferibilmente e maggiormente difesi e promossi, perché maggiormente misconosciuti o calpestati. Il Magistero della Chiesa è riferimento obbligante in questo aiuto al discernimento del fedele.
Ma il sacerdote deve astenersi completamente dall'indicare quale parte politica ritenga a suo giudizio che dia maggior sicurezza in ordine alla difesa e promozione dei valori umani in questione. Questa indicazione infatti sarebbe in realtà un'indicazione di voto.
La nostra Regione, così come l'intera nostra nazione, sta attraversando un momento difficile. Pensiamo in primo luogo e siamo vicini alle famiglie colpite da gravi difficoltà economiche; e a chi ha perduto o rischia di perdere il lavoro.
La consultazione elettorale è una occasione nella quale ogni fedele è invitato ad esercitare mediante il voto una parte attiva nella doverosa edificazione della comunità civile.
In questo modo «la carità diventa carità sociale e politica: la carità sociale ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce» [Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa n. 207]
Zenit.org

sabato 6 marzo 2010

IL DECRETO "SALVA-LISTE"

Ho sentito il dovere di intervenire nella vicenda del decreto "salva-liste" scrivendo direttamente al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Certamente è criticabile l'urgenza con la quale si è affrontata la questione, urgenza che forse sarebbe stato bene dedicare ad altre questioni ben più importanti per gli italiani, come la perdita dei posti di lavoro o la crisi economica che mette in difficoltà tante famiglie.
Inoltre è sin troppo semplice sospettare che il Governo difficilmente sarebbe intervenuto se le liste escluse fossero state quelle di altri partiti, cosa che è avvenuta più volte in passato senza che nessun Consiglio dei Ministri si fosse sentito chiamato ad interpretare le norme esistenti.

La cosa più grave però è il fatto che gli italiani d'ora in poi dovranno pensare che le regole vengono fatte rispettare solo ai "deboli", mentre i "forti" possono liberamente interpretare le leggi e aggirare le norme.
Ed è totalmente fuorviante l'argomentazione secondo la quale senza le liste del Pdl si lede il "diritto di voto" dei cittadini poiché era proprio responsabilità dei rappresentanti del Pdl adoperarsi per raccogliere le firme, secondo le regole, dando così ai cittadini una maggiore possibilità di scelta.
Chi ha sbagliato, per altro, non ha nemmeno chiesto scusa nè è stato rimosso dall'incarico, segno ancora più evidente dell'arroganza di chi rivendica solo diritti ma nessun dovere.
Quando dovevo sostenere gli esami universitari cercavo sempre di essere puntuale, anche perché sapevo che se fossi arrivato in ritardo sarei stato giustamente escluso dalla prova.
Non è mai successo, ma se questo fosse accaduto avrei potuto protestare sostenendo che mi veniva negato il "diritto allo studio"? Io non credo.

Per questi motivi ho rivolto una rispettosa ma ferma protesta nei confronti del Capo dello Stato per aver firmato il decreto che il Governo ha voluto emanare.

giovedì 4 marzo 2010

QUANDO LE LISTE LE PRESENTAVANO I "PROFESSIONISTI"

Riprendo dal "Messaggero" alcuni brani di un articolo che ricorda i tempi della Prima Repubblica, quando andava tutto male ma forse andava meglio di ora!
Nella Dc si chiamavano «funzionari di segreteria tecnica». Un nome modesto che però racchiudeva una grande autorevolezza interna: erano pagati dalla sede centrale pur essendo dislocati uno per ogni provincia, potevano dire di no al leader cittadino o regionale pro-tempore in nome del partito, erano loro i fiduciari, i detentori del simbolo, nel momento cruciale della presentazione al tribunale. Nel Pci, dove la struttura funzionariale era più ampia, veniva selezionata all’interno la rete dei corrispondenti dell’«ufficio elettorale centrale». Erano loro gli incaricati di depositare simbolo e liste, oltre che di predisporre e preparare la rete dei rappresentanti di lista nei seggi. Autentici professionisti del ramo. Conoscitori fin nel dettaglio di leggi e procedure. Guidati peraltro da personaggi mitici, per quanto poco noti alla storiografia maggiore: fra tutti Gaetano Vannucchi, funzionario capo della Dc di De Mita e Forlani (poi, dopo la pensione, passato a Forza Italia) e Celso Ghini, storico capo dell’ufficio elettorale del Pci (che quando non esistevano gli exit poll anticipava il risultato prima del ministero dell’Interno).Ecco, in quei tempi un pasticcio come quello del Pdl a Roma sarebbe stato impensabile. È vero che stavolta hanno pesato in modo decisivo i contrasti interni al Pdl. Ma anche allora la formazione delle liste era tormentata. Soprattutto nella Dc, dove le correnti si davano battaglia soprattutto sulle liste. Proprio per questo, però, l’organizzazione «fanfaniana» del partito aveva concepito una struttura di funzionari «neutrali». E aveva affidato loro il ruolo di rappresentanza nel momento cruciale del deposito delle liste. Momento che si preparava come un rito religioso: molti ricordano che il delegato spariva nelle 24 ore precedenti al deposito, dopo aver ricevuto la delega firmata dal segretario nazionale.La preparazione specifica era poi molto intensa. Nicodemo Oliverio, funzionario capo dopo Vannucchi e ora deputato Pd, ricorda prima delle elezioni dell’83 un ritiro di quindici giorni a Rocca di Papa di tutti i funzionari Dc. E certo alle Frattocchie non erano da meno. Il livello era tale che al Viminale spesso si consultavano con i responsabili di Dc e Pci per verificare l’interpretazione della legge. Anche l’austerità era un tratto della professionalità. «In federazione - ricorda Marco Minniti - chiamavamo il nostro delegato l’”uomo di Mosca”». Per tanti aspetti simili, avevano però una grande diversità professionale: i comunisti si preparavano per arrivare primi e conquistare così il posto in alto a sinistra, i democristiani per arrivare un minuto prima della chiusura e conquistare il posto in basso a destra sulla scheda.

di Claudio Sardo - Il Messagero

lunedì 1 marzo 2010

SI TORNA A PARLARE DI PREFERENZE

Il candidato alla Presidenza della Giunta Regionale del Pd toscano, Enrico Rossi, si è detto favorevole al ripristino del voto di preferenza.
Siamo d'accordo, anzi siamo talmente d'accordo che l'Udc è stato, negli ultimi sei anni, l'unico partito che, attraverso i propri rappresentanti in Regione, ha combattuto contro una legge elettorale che toglie agli elettori qualsiasi possibilità di scelta.

Con l'attuale sistema le oligarchie di partito selezionano i candidati in base a logiche interne che nulla hanno a che fare con la rappresentatività.

Anche questa volta molte liste, non quelle dell'Udc, sono composte da "amici" di qualche leader nazionale che, in questo modo, si crea una corte di fedelissimi senza che questi rappresentino tuttavia null'altro che se stessi.

Allora vogliamo dire a Rossi e alla sua coalizione che noi siamo pronti a fare la nostra parte ma è venuto il momento che anche lui faccia la sua.

Se veramente crede in quello che ha detto prometta subito che, in caso di vittoria, modificherà la Legge elettorale nei primi cento giorni, ripristinando il voto di preferenza.

Noi saremo sicuramente della partita.